Nell’incontro di ieri Ankara ha protestato per le armi ai kurdi. Ma Washington ha bisogno dell’alleato per rovesciare Damasco: promette appoggio a Sinjar e non dà garanzie politiche a Rojava
di Chiara Cruciati
Roma, 17 maggio 2017, Nena News – Lavoreranno insieme ma senza accordo sui nemici e sugli amici. Così potrebbe essere riassunto l’incontro di ieri alla Casa Bianca tra il presidente Usa Trump e il presidente turco Erdogan. Una visita molto attesa da Ankara per mettere sul tavolo dell’alleato Nato tutti i fastidi dell’ultimo periodo.
La Siria ha dominato l’incontro, incentrato sul corridoio di territori a nord del paese e al confine con la Turchia. Erdogan lo ha detto chiaramente: “Usare i militanti delle Ypg [le forze di difesa kurde, ndr] nella regione va contro gli accordi e non sarà mai accettato”. Ha poi aggiunto che il suo paese è comunque pronto a collaborare con gli Usa “nella lotta a tutti i gruppi terroristici nella regione”.
Il problema resta: non c’è accordo tra Washington e Ankara su chi siano i terroristi. Se gli Stati Uniti, come l’Europa, considerano il Pkk organizzazione terroristica, le Ypg di Rojava – che si ispirano all’ideologia politica del leader incarcerato Ocalan – sono considerate valide alleate nella lotta allo Stato Islamico, vista la strenua resistenza contrapposta nel nord della Siria e, ora, la controffensiva su Raqqa.
Una settimana fa Trump aveva autorizzato l’invio di armi pesanti ai kurdi proprio in vista dell’assalto finale alla “capitale” dell’Isis, scatenando le ire turche. Una mossa che gli Stati Uniti avevano comunicato all’alleato ma che non è certo piaciuta al governo turco. Tanto che ieri, poco prima dell’incontro alla Casa Bianca, il premier Yildirim aveva detto che Ankara è pronta ad agire in solitaria, Usa o meno: non esiteremo – ha detto – a lanciare un’operazione oltre il confine se gli Usa non daranno garanzie sufficienti.
Un’operazione che è tuttora in corso nonostante sia stata ufficialmente sospesa all’inizio di aprile dall’esercito turco: “Scudo dell’Eufrate”, cominciata alla fine di agosto dello scorso anno, non è finita; le truppe turche continuano a stazionare in territorio siriano e a lanciare durissimi attacchi contro le Ypg, il più brutale alle fine di aprile combinato insieme ad operazioni nel nord dell’Iraq.
In ogni caso l’allenza strategica tra i due paesi non è in discussione. Le frizioni con l’amministrazione Obama non hanno mai portato a vere rotture, nemmeno quando la repressione interna ha raggiunto livelli senza precedenti a seguito del tentato golpe del 15 luglio scorso.
E sulle Ypg un accordo verrà trovato: oggi Washington ne ha bisogno per liberare Raqqa e guadagnare punti importanti sul terreno siriano dove Trump intende tornare in pompa magna in chiave anti-Assad. Le accuse degli ultimi giorni su presunti forni crematori – accuse che ieri l’Onu ha detto di non poter confermare per mancanza di prove – hanno come unico obiettivo quello di montare una campagna anti-Damasco che permetta di spodestare l’attuale presidente, con la forza o con il negoziato.
In tale contesto l’alleanza con la Turchia (impegnata da sei anni nel tentativo di rovesciare Assad) è indispensabile e una vittoria a Raqqa rafforzerebbe le posizioni traballanti di Washington e le Ypg restano strumento primario. Poi, si vedrà: l’amministrazione Usa non ha mai affermato di voler riconoscere l’autonomia di Rojava né fatto pubbliche promesse nei confronti del progetto di confederalismo democratico kurdo-siriano.
Erdogan può dunque dormire sonni tranquilli. Lo stesso Trump lo ha rassicurato ieri: gli Stati Uniti – ha detto – sono pronti ad appoggiare la Turchia in un’offensiva contro il Pkk a Sinjar, in Iraq. L’obiettivo è quello noto: creare una zona cuscinetto che vada dall’ovest della Siria all’est dell’Iraq, libera dalla presenza del Pkk o dei gruppi satellite, da controllare direttamente e da usare come strumento di divisione interna dei due Stati-nazione, Siria e Iraq. Nena News
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati
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