Una pianta decantata in tutto il Vicino Oriente nei secoli e coltivabile anche da chi, come i palestinesi sotto occupazione, ha scarse risorse idriche. Con questo frutto si preparano dolci legati alla commemorazione dei morti, proprio per quella specie di filo che unisce la fine della vita alla rinascita
di Patrizia Cecconi
Roma, 24 novembre 2014, Nena News -RUMMAN, Punica granatum, Malum punicum, Pomo saraceno, Melograno. Tanti nomi per un alberello della famiglia delle Lythracee che per bellezza, simbologia e proprietà li merita tutti. Il nome Rumman, con cui è conosciuto in Palestina viene dall’antico egiziano “Rmn” e dato che la pianta ha la sua origine nell’area compresa tra l’Africa settentrionale e l’Asia occidentale, questo dovrebbe essere il nome originario. I romani invece lo chiamarono Punica granatum, che oggi è anche il suo nome scientifico: Punica perché arrivato da Cartagine, e granatum per i tanti grani che lo compongono.
Di miti intorno al melograno ne sono fioriti tanti, sia per la bellezza dei suoi fiori, sia per la particolarità dei suoi frutti. Anche le religioni lo hanno fatto proprio: per il Corano è un albero del paradiso; per la Bibbia è importante il frutto per il numero dei suoi grani (o arilli) 613 come i 613 precetti della Torah che, secondo la tradizione ebraica, dovrebbero rappresentare l’agire corretto di ogni ebreo. Un ruolo, giocato solo sulla sua bellezza, viene assegnato a questo frutto nel Cantico di Salomone in un crescendo di sensualità rendendo chiaro che l’amore cantato è inteso anche come amore fisico. La donna amata è paragonata a un intero giardino di melograni che si offriranno all’amore durante la fioritura. Immagine, questa, che nobilita tanto il melograno quanto il piacere di amare come essenza della vita.
E infatti questo frutto si presta da sempre a interpretazioni legate alla sfera della sensualità e della fertilità, basti pensare che tra i suoi simboli più antichi c’è quello dell’erotismo e dell’invincibilità attribuitogli già dai babilonesi tramite la figura di Ishtar, dea dell’amore e della fertilità ma anche della guerra. Simbolo riproposto nel legame vita-morte-vita dalla mitologia greca. Leggende che hanno in comune il simbolo dell’abbondanza, del dolore e dell’amore, della vita e della morte che si riallacciano in energia vitale.
In una di queste leggende, il melograno sboccia dalle gocce di sangue di Dioniso, ucciso dai Titani, ma per quei miracoli propri della mitologia, il corpo del dio bambino viene ricomposto e Dioniso, rinato alla vita, diventerà il dio della gaiezza, dell’estasi, della libertà senza freni e il padre della vite. Anche nel mito di Persefone, forse il più significativo del legame tra vita, morte e rinascita, rientra questo frutto. La fanciulla rapita dal dio Ade, salvata da sua madre Demetra che riuscirà a ottenere il suo ritorno sulla terra ma, ingannata da Ade mangia 7 chicchi di melagrana e vedrà così compiersi l’incantesimo che la vorrà 6 mesi nell’Ade e solo gli altri 6 mesi sulla terra a far fiorire la natura. Questa separazione-unione che va ripetendosi e che mantiene il senso della vita passando via via il testimone è un richiamo che ho sentito fare anche dal venditore improvvisato di succo di rumman nei pressi di Gerico, vicino al “Monte delle Tentazioni”, quello di cui parla il Vangelo. Questo improvvisato barman, privato della casa dalle forze di occupazione, con uno spremiagrumi e un banco di legno s’è inventato un lavoro per sopravvivere e, preparandomi il succo, mi ha detto che dalla morte di tutti quei chicchi nasce la vita per la salute di chi lo beve. Poi ha aggiunto, “proprio come chi dà la propria vita per il suo popolo”.
Lui magari lo diceva solo per vendere più succhi, ma senza saperlo ha messo nella sua frase tanto il senso simbolico del melograno, quanto la ricchezza di nutrienti che tra vitamine, sali minerali, polifenoli, fibre e antiossidanti ne fanno un gioiello di cui già Ippocrate decantava le proprietà oggi riconfermate dalle analisi scientifiche. Ma prima ancora di lui, oltre 4500 anni fa, già gli egiziani lo usavano come antielmintico.
Ippocrate, circa 2.500 anni fa ne utilizzava sia scorza che frutto per farne preparazioni a scopo antinfiammatorio, astringente, antibatterico, gastroprotettivo, vasoprotettore e ricostituente. Oggi sappiamo che i suoi studi empirici erano corretti. Nel succo degli arilli sono presenti le vitamine A, B, E, C e K , oltre a polifenoli, antiossidanti e soprattutto acido ellagico, che fanno della melagrana un cardioprotettore e un alleato contro l’invecchiamento cellulare e, sembra, addirittura un killer delle cellule cancerogene.
Ma vediamolo nelle sue caratteristiche botaniche questo alberello di 4-5 metri. Le varietà della specie botanica, dovute tutte a ibridazioni di laboratorio, sono oltre 300 e proprio a Gerusalemme, presso l’Università Ebraica nella parte Est occupata militarmente da Israele nel 1967, sorge il maggior centro mondiale di studi sull’ibridazione del Punica granatum.
Quest’albero ama i terreni semi aridi e quindi può essere facilmente coltivato anche dai palestinesi le cui risorse idriche, come si sa, sono state decimate dall’occupazione.
Il melograno ha anche avuto la fortuna di non finire in massa sotto la mannaia che ha privato i territori palestinesi di circa 3 milioni di alberi di olivo e infatti, chiunque vada in Palestina, troverà facilmente un venditore di succo di rumman che per pochi shekel fornirà una dose di antiossidanti, vitamine, sali minerali e acido ellagico prodotta là per là e indiscutibilmente buona.
La specie originaria del Punica granatum ha foglie ovali, a margine intero e fiori sono di color rosso vermiglio generalmente a 4 petali e particolarmente belli. Il frutto è una bacca tondeggiante dalla scorza coriacea detto balausta. Al suo interno è ripartito in setti fibrosi che separano i circa 600 arilli in diversi gruppi.
In questo periodo, al Sud, con questo frutto si preparano dolci legati alla commemorazione dei morti, proprio per quella specie di filo che, come diceva il venditore del Monte delle Tentazioni, unisce la fine della vita alla rinascita.
Per riportare in una stessa sfera i due frutti che la mitologia greca ha legato a Dioniso, consiglio a chi ama il vermouth, di lasciar macerare in un litro di vino secco di buona qualità un quarto di scorza di balausta per un mese, al buio e con tappo ermetico. Dopo un mese avrete un ottimo cugino del Martini dry con cui potrete inaugurare l’anno nuovo accompagnandolo con chicchi sciolti di melograno che portano di sicuro salute e qualcuno dice anche fortuna.
Intanto gli alberelli di melograno sembrano in festa, le loro grandi bacche si stanno aprendo un po’ ovunque e gli arilli chiedono di essere consumati per ricominciare il ciclo. Anche su terra arida, anche con due sole gocce d’acqua il melograno manda a dire che la vita non si ferma. Nena News