Il giornalista palestinese aveva iniziato lo scorso novembre uno sciopero della fame durato 94 giorni per protestare contro la pratica israeliana della detenzione amministrativa. Il Centro studi per i prigionieri palestinesi (Ppcs), intanto, denuncia: “da ottobre Tel Aviv ha arrestato almeno 28 donne per istigazione sui social media”
della redazione
Roma, 20 maggio 2016, Nena News – E’ stato rilasciato ieri dalle autorità israeliane il giornalista palestinese Mohammed al-Qiq il cui sciopero della fame (durato 94 giorni) contro la pratica israeliana della detenzione amministrativa ha avuto ampia risonanza locale e internazionale alcuni mesi fa. Secondo quanto ha riferito il direttore del ministero degli affari dei prigionieri palestinesi Ibrahim Najajra, al-Qiq è stato liberato vicino alla colonia di Beit Hagai (a sud della città palestinese di Hebron). Ad attenderlo, al checkpoint di Mitar, la sua famiglia e i suoi due figli.
La notizia della sua liberazione era stata comunicata alla stampa a fine febbraio quando gli avvocati del detenuto hanno annunciato di aver raggiunto una intesa con le autorità israeliane: la detenzione amministrativa di 6 mesi non sarebbe stata rinnovata e al-Qiq sarebbe tornato di conseguenza a casa il 21 maggio, a 6 mesi esatti dal suo arresto. Tra i punti concordati veniva stabilito anche che il prigioniero poteva essere trasferito in qualunque ospedale d’Israele, ma non in Cisgiordania.
Al-Qiq, 33 anni, è un corrispondente dalla Palestina per la tv saudita al-Majd. Durante i suoi 94 giorni di protesta ha perso 30 chili e, secondo quanto hanno dichiarato i medici, è stato “sul punto di morire”.
Lo scorso gennaio è stato il primo detenuto palestinese in sciopero della fame ad essere sottoposto contro la sua volontà ad un trattamento medico. La ong israeliana “Medici per i diritti umani” (Mdu) riferì allora che il giornalista non era stato costretto a mangiare, ma era stato sottoposto contro il suo volere ad alcune trasfusioni di vitamine. Con al-Qiq è stata la prima volta da quando la scorsa estate il parlamento israeliano (Knesset) ha dato il via libera all’alimentazione forzata dei prigionieri politici, che i medici israeliani, violando l’etica professionale e i diritti dei pazienti, hanno usato la forza contro un detenuto in sciopero della fame.
La vicenda del giornalista ha riscosso il pieno appoggio della popolazione palestinese: in suo sostegno si sono svolti per giorni cortei e sit in numerose città. Ampia eco, inoltre, ha avuto la sua battaglia anche sui media internazionali che hanno dato aggiornamenti continui sulle sue condizioni di salute. Per al-Qiq hanno manifestato anche decine di attivisti israeliani e due di loro, Anat Rimon e Anat Lev, hanno incominciato uno sciopero della fame. La sua detenzione senza processo né (formalmente) un capo d’accusa era stata duramente criticata da diversi corpi internazionali (tra cui Onu, Unione europea e l’ong Amnesty International) che avevano chiesto a Tel Aviv di porre fine all’uso degli arresti amministrativi.
“I giornalisti palestinesi, compreso me, paghiamo il prezzo della politica razzista israeliana – ha scritto al-Qiq in un comunicato a gennaio. “Quando le persone sono trattate in modo tirannico – ha aggiunto – non si preoccupano più delle conseguenze [delle loro azioni] anche se queste hanno come prezzo la vita stessa”. Quindi mi affido alle mani di Dio e continuerò lo sciopero. O martirio o libertà”.
Per un al-Qiq libero, c’è n’è un altro che ha ripreso a non mangiare. E’ Sami Janazreh, 43 anni, del campo rifugiati di al-Fawwar (Hebron). La scorsa settimana Janazreh aveva interrotto la sua protesta contro il rinnovo della detenzione amministrativa accordatogli da Israele con la speranza di una udienza sul suo caso da parte della Corte suprema israeliana. Pia illusione: il più alto tribunale dello stato ebraico ha rinviato il suo appello a data da destinarsi portando così quest’ultimo a riprendere la sua lotta. Arrestato inizialmente il 15 novembre, il detenuto ha deciso di non toccare cibo il 3 marzo. Secondo l’associazione dei prigionieri palestinesi, Janazareh avrebbe solo assorbito dei liquidi durante l’interruzione del suo sciopero avvenuta una settimana fa.
Il Centro per gli studi dei prigionieri palestinesi (Ppcs), intanto, ha reso noto due giorni fa che dallo scorso ottobre almeno 28 donne palestinesi sono state arrestate da Israele per “istigazione” sui social media. Sebbene la maggior parte di loro sia stata rilasciata a distanza di poche ore dal fermo, 6 di loro restano ancora dietro le sbarre. Il portavoce dell’organizzazione, Riyad al-Ashqar, ha detto che dietro a questa decisione vi sono due motivi: il tentativo di scoraggiare le donne a prendere parte alla “resistenza contro le forze di occupazione israeliane” e il servisene come mezzo di pressione sui loro familiari detenuti. Nena News