Il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas ieri a Gerusalemme ha espresso preoccupazione ma non ha fatto riferimento all’adozione di sanzioni da parte della Germania e dell’Ue in risposta all’annessione unilaterale a Israele di porzioni di Cisgiordania
di Michele Giorgio – Il Manifesto
Gerusalemme, 11 giugno 2020, Nena News – È andata come gli analisti e la stampa israeliana di destra avevano previsto. Heiko Maas, ministro tedesco degli esteri, in visita ieri a Gerusalemme, non è andato oltre l’espressione di una «seria preoccupazione» per la prossima annessione a Israele di larghe porzioni della Cisgiordania palestinese. Maas con tono pacato e amichevole, accanto all’omologo israeliano Gabi Ashkenazi, ha spiegato che «come amica speciale d’Israele», la Germania «ha oneste e serie preoccupazioni». E che «assieme all’Unione europea, la Germania è dell’opinione che l’annessione non sarebbe compatibile con la legge internazionale». Ma non ha fatto cenno ad alcuna misura concreta dell’Europa. «Non credo nel fare minacce prima che siano state prese decisioni», ha sottolineato Maas. «Quello di cui abbiamo ora bisogno è un nuovo, creativo impeto per rilanciare i colloqui fra Israele e i palestinesi. Siamo pronti a lavorare in questa direzione assieme ai nostri partner in Europa e nella regione se ce lo chiederanno», ha poi scritto Maas in un tweet diffuso dopo l’incontro con Ashkenazi. Parole prive di sostanza che rassicurano il governo israeliano a venti giorni da quel primo luglio che il premier Netanyahu ha indicato come la data di inizio dell’iter legislativo che porterà all’estensione della sovranità – così in Israele chiamano l’annessione – su parte della Cisgiordania.
La Germania, paese europeo più potente, che vanta relazioni speciali con Israele, proprio il primo luglio assumerà la presidenza mensile del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e quella semestrale dell’Ue. Una posizione che userà per scongiurare una polarizzazione tra i paesi dell’Ue di diverso orientamento sul piano di annessione del governo Netanyahu e le permetterà di impedire l’adozione di sanzioni contro Israele. Possibilità in ogni caso molto remota. A mezza bocca alcuni paesi europei nelle scorse settimane hanno ipotizzato possibili sanzioni, ad esempio nella cooperazione scientifica e accademica. Ma altri paesi, alleati di Israele, sono pronti a bloccarle. Il Consiglio Affari Esteri dell’Ue ha già invitato Gabi Ashkenazi alla ricerca di una soluzione. A Bruxelles sanno che Israele non rinuncerà mai all’annessione ora che ha avuto il via libera dal piano per il Medio oriente del presidente americano Trump. E quindi cercano soltanto una via d’uscita che eviti all’Ue di apparire sostenitrice di fatto di un progetto che viola le risoluzioni internazionali e nega ai palestinesi il diritto a quello Stato sovrano e indipendente a cui si è riferito due giorni fa il primo ministro dell’Anp Mohammed Shttayyeh.
La “soluzione” sarà un’annessione a piccoli passi, che faccia poco rumore. Delle proteste palestinesi comunque nessuno terrà conto. Ashkenazi ribadendo ieri che l’annessione si farà, ha precisato «in pieno coordinamento con gli Usa, mantenendo gli accordi di pace e gli interessi strategici d’Israele. Vogliamo farlo attraverso il dialogo con i nostri vicini». Tradotto in politica concreta, significa che Netanyahu il primo luglio dovrebbe dare il via solo a una prima fase dell’annessione, ridotta rispetto al 30% della Cisgiordania di cui si è parlato. Riguarderà i tre grandi blocchi di insediamenti coloniali israeliani – Maalè Adumim, Gush Etzion e Ariel – ed escluderà la Valle del Giordano, almeno nella fase iniziale, in modo da non approfondire le tensioni con la Giordania nettamente contraria alle intenzioni israeliane. Un primo passo sempre unilaterale meno rumoroso al quale, pensano Netanyahu e i suoi ministri, gli europei e i giordani con il tempo si adegueranno. Poi si procederà alle altre fasi dell’annessione.
In questo quadro è secondaria la sentenza con cui la Corte Suprema israeliana due giorni fa ha annullato la legge del 2017 che avrebbe legalizzato, secondo il diritto israeliano ma non quello internazionale, gli insediamenti coloniali costruiti su terra privata palestinese. Si tratta di circa 4.000 case per i coloni. La sentenza non ha alcuna possibilità di essere attuata. Una fonte vicina a Netanyahu – citata dal quotidiano Haaretz – ha commentato che una volta attuato il piano di annessione della Cisgiordania «si risolverà la maggior parte dei problemi di regolarizzazione». Sarà tutto di Israele.Nena News
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