Ieri 30 veicoli militari hanno distrutto il solo istituto scolastico della piccola comunità di Abu al-Nuwwar. Sempre alta la pressione sui palestinesi nell’area del progetto E1. Ieri ucciso un ragazzo di 15 anni vicino Nablus
della redazione
Roma, 22 febbraio 2016, Nena News – Non è la prima volta che succede: nel mirino delle autorità israeliane c’è di nuovo una scuola e di nuovo la comunità beduina palestinese dei Jahalin. Ieri i bullzoder dell’esercito israeliano hanno demolito l’istituto scolastico della comunità di Abu al-Nuwaar, vicino alla città di El-Ezzariya.
Secondo quanto raccontato da Atallah al-Jahalin, portavoce della comunità, 30 veicoli militari hanno accompagnato sul posto funzionari dell’Amministrazione Civile israeliana (l’ente che gestisce per Tel Aviv i Territori Occupati) e hanno distrutto la scuola, l’unica presente a Abu al-Nuwaar. La giustificazione data dalle autorità israeliane è nota: l’edificio era stato costruito con strutture permanenti e quindi in violazione con la normativa che impedisce di costruire in Area C senza permesso israeliano.
L’Area C rappresenta il 60% della Cisgiordania ed è sottoposta al totale controllo, militare e civile, israeliano. Ciò impedisce alle comunità ancora presenti di godere di servizi basilari, come l’acqua e l’elettricità, e ovviamente di costruire strutture che siano case, scuole, stalle, ospedali. Serve il permesso da parte di Tel Aviv, un via libera che nella quasi totalità dei casi viene rifiutato. Secondo l’Ocha, agenzia Onu, solo l’1,5% delle richieste da parte palestinese viene accolta. Si costruisce comunque per continuare a vivere. E si costruiscono anche scuole, come quella di Abu al-Nuwaar. E troppo spesso si incorre nei bulldozer dell’esercito.
Ma ieri, dopo la distruzione, l’esercito ha anche confiscato materiali scolastici dentro il piccolo edifico. Un fatto che fa pensare che la demolizione di ieri sia parte di una più ampia pressione su una comunità che, come le altre comunità beduine palestinesi, si trova in un’area strategica, la cosiddetta E1, che collegherà nei piani israeliani la Grande Gerusalemme al Mar Morto. Da tempo Tel Aviv tenta di cacciare con le buone o le cattive i Jahalin presenti, che impediscono la creazione di un corridoio di colonie che parta dagli insediamenti di Gerusalemme Est, passi per l’enorme blocco coloniale di Ma’ale Adumim e finisca nella Valle del Giordano e al Mar Morto. Un corridoio unico che spezzerebbe in due la continuità della Cisgiordania, ponendo fine alla cosidetta soluzione a due Stati per l’impossibilità di dare vita ad uno Stato palestinese contiguo.
E le demolizioni continuano, in tutti i Territori Occupati: secondo le Nazioni Unite, dal primo gennaio al 15 febbraio di quest’anno sono state distrutte dai bulldozer israeliani già 283 strutture, togliendo un tetto sulla testa a 404 palestinesi, di cui 219 bambini.
Una violenza quotidiana che non fa che aumentare la disperazione e la rabbia per un’occupazione che va avanti ormai da sette decenni. Quella disperazione, da parte palestinese, è esplosa il primo ottobre con attacchi individuali e manifestazioni di piazza. La risposta israeliana è stata la repressione: 181 palestinesi sono stati uccisi in attacchi veri e presunti e durante proteste in strada, 25 le vittime israeliane. Ieri l’ultimo caso: un 15enne di Qabatiya, comunità vicino Jenin, sottoposta a coprifuoco, chiusure e raid per giorni nell’ultimo mese, è stato ucciso al checkpoint Beita di Nablus.
Secondo l’esercito israeliano, voleva accoltellare dei soldati. Secondo testimoni, il giovane aveva un coltello in mano ma era ancora molto lontano dai militari. Nonostante ciò è stato fermato con una pallottola in pieno volto. Il suo nome è Qusay Diab Abu al-Rub. Nena News
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