La Gundelia, chiamata comunemente “cardo selvatico”, spunta nelle zone semi-aride del Medio Oriente dopo le piogge autunnali. Utilizzata da oltre duemila anni come depurativo del fegato e ipoglicemizzante e ritrovate alcune sue tracce persino nella sindone, di recente si è scoperto che può bonificare i terreni contaminati da metalli
di Patrizia Cecconi
Roma, 15 settembre 2014, Nena News – Nelle zone semi-aride del Medio Oriente, dopo le piogge autunnali, spunta una pianta della famiglia delle asteracee. E’ una famiglia ricca, quella delle asteracee: i botanici hanno classificato 23.000 specie raccolte sotto 1500 generi appartenenti a questa famiglia il cui nome deriva dalla forma del fiore. Sarebbe meglio dire dell’infiorescenza perché, in realtà, quello che sembra un unico fiore altro non è che l’insieme di piccolissimi fiori che hanno solo la forma di petali ma in realtà sono singole individualità sorgenti dalla stessa base e nutrite dalla stessa linfa. Un po’ come un popolo originario dello stesso territorio e nutrito della stessa cultura.
La famiglia delle asteracee, proprio per questa sua caratteristica di raccogliere un “popolo” di piccoli fiori in un unico insieme, si chiama anche delle “composite”, e tra i vari generi che la compongono c’è anche la Gundelia di cui consideriamo la specie tourneforti , ovvero, in arabo, l’akub.
La Gundelia fino al ”98 non creava interesse in Occidente, mentre in Medio Oriente e in particolare in tutta la Palestina storica, era già da millenni una pianta molto apprezzata. Nel ’98 salì agli onori della cronaca anche in Occidente perché alcuni studiosi rinvennero il suo polline nella sacra sindone, lasciando così supporre che i soldati romani, 1981 anni fa, la utilizzarono per confezionare la corona di spine con cui avrebbero “incoronato” Gesù come ultimo dileggio verso l’uomo che aveva messo seriamente in discussione il potere, provando a cambiare i rapporti tra gli umani in nome di un’uguaglianza di dignità che ancora oggi non è data per scontata.
Comunemente la Gundelia viene chiamata “cardo selvatico” per l’oggettiva somiglianza ad altre specie del genere Carduus. Seguiterò anch’io a chiamarla così, come ho imparato nel suq di Betlemme la scorsa primavera, pensando a una delle tante leggende che la letteratura classica ci racconta per spiegare la nascita di una specie vegetale: quella del dolore che spuntò dalla Terra per la morte di Dafni, e che sembra adattarsi perfettamente all’episodio – non leggendario ma tragicamente reale – di Yusef Abu Aker, un ragazzino di 14 anni, che verso le 7 di un mattino di marzo, in un villaggio nei pressi di Hebron, venne ucciso da un soldato dell’IOF mentre raccoglieva gli akub prima di andare a scuola.
Nella leggenda antica fu il pianto di Venere o, in altre versioni, di Diana o di Ermes, che accompagnò la morte del giovane Dafni, e si racconta che la Terra accolse con tanto dolore il corpo del ragazzo, che trasformò le lacrime in piante dalle foglie spinose come l’ingiustizia della sua morte.
E’ commovente vedere come nella letteratura antica il dolore, l’angoscia, l’ingiustizia vengano affidati al regno degli dèi i quali, reimpastando i sentimenti umani con i figli della terra, offrono consolazione alla morte e restituiscono simbolicamente la vita per tutti i secoli di cui è capace la memoria.
Yusef Abu Aker, il piccolo raccoglitore di akub, non avrà cantori greci o latini a ricordarlo, e il suo nome andrà a confondersi con quello delle centinaia di bambini che in questi giorni l’IOF ha ucciso a Gaza, e di quelle altre centinaia che ha ucciso nelle aggressioni precedenti, e alle decine e decine che uccide in Cisgiordania in uno stillicidio insopportabile che richiederebbe tutti gli dèi dell’Olimpo per avere un pizzico di consolazione e tutte le piante della Palestina per cantarne la memoria.
Ma torniamo alla Gundelia. La si può vedere andando in Medio Oriente, ma solo dall’autunno alla primavera perché poi si secca, si stacca dalla radice e vola via, disperdendo nel vento i suoi semi che raggiungono distanze anche di decine e decine di chilometri e portano lontano, dovunque ci sia il terreno adatto al loro attecchimento, nuove piante che offriranno ricordi e frutti a chi continuerà la tradizione della raccolta.
La pianta può raggiungere anche gli 80-100 cm d’altezza, le sue foglie sono molto spinose e le infiorescenze, se non sono state recise prima della fioritura e consumate come i cuori del carciofo, sono composte da fiori tubulosi di colore biancastro avvolte in brattee squamose. Anche le foglie e perfino i semi hanno un uso alimentare, questi ultimi vengono tostati e usati come caffè.
Ma l’akub ha anche un uso medicinale. La medicina popolare è un altro aspetto di quella cultura che si lega all’identità di un popolo e le piante ne sono l’elemento principe. Per quanto riguarda l’akub, esso viene utilizzato da oltre duemila anni come depurativo del fegato e ipoglicemizzante. Il lattice che si trova nelle venature delle sue foglie viene usato contro le verruche e gli impiastri di foglie contro la vitiligine. Inoltre, tutte le proprietà che la medicina popolare gli attribuiva, oggi sono state verificate e confermate.
Di recente si è scoperto che la Gundelia può essere usata per bonificare terreni contaminati da metalli. I suoi semi potrebbero quindi essere dispersi sulle rovine della striscia di Gaza dopo i terribili bombardamenti che pare abbiano inquinato il suolo di pericolosi elementi. Il costo sarebbe minimo e il risultato probabilmente efficace. Resterebbe solo la tristezza di vedere una tradizione piacevole e gustosa trasformarsi in aiuto contro i danni di un’aggressione che poteva essere evitata se solo la giustizia internazionale avesse fatto il suo corso. Nena News
Ciao Patrizia, leggo con piacere i tuoi articoli passando attraverso la tua pagina FB. Spero che si possa fare qualche iniziativa pro Palestina assieme quando torni da queste parti. C’è bisogno di