Rigettata la denuncia mossa da un gruppo filo-israeliano dopo la protesta del 2015 contro la partecipazione del cantante Matisyahu, noto sostenitore anche finanziario di Israele, al festival di Benicàssim: per la corte si tratta di libertà di espressione contro le politiche di uno Stato e non di un attacco contro gli ebrei
di Marco Santopadre
Roma, 21 gennaio 2021, Nena News – Dallo Stato spagnolo arriva finalmente una buona notizia. Otto attivisti che rischiavano di finire in carcere per aver promosso una campagna di boicottaggio nei confronti di un artista filo israeliano sono stati prosciolti dalle accuse che avrebbero potuto costar loro dai quattro ai sei anni di reclusione.
Nell’agosto del 2015, gli attivisti e le attiviste – tra cui un docente universitario e varie insegnanti – avevano partecipato a delle iniziative miranti a cancellare la partecipazione del cantante reggae statunitense Matisyahu (al secolo Matthew Paul Miller), seguace di gruppi ebraici fondamentalisti, al noto festival musicale “Rototom Sunsplash” di Benicàssim, nel paese valenzano.
Con appelli pubblici, assemblee e volantinaggi i componenti della campagna Bds catalana chiesero alla direzione dell’evento di sospendere il concerto dell’artista noto per aver pubblicamente sostenuto gli abusi e i crimini compiuti dall’esercito di Tel Aviv, tra i quali il sanguinoso assalto alla Freedom Flotilla, che nel 2010 tentava di portare indispensabili aiuti umanitari alla Striscia di Gaza assediata.
Tra le altre cose, l’artista è noto per aver collaborato alla raccolta di fondi per l’esercito israeliano insieme all’associazione degli Amici delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), per l’Aipac, la potente lobby filoisraeliana attiva negli Stati Uniti, e per ‘StandWithUs’, un gruppo di propaganda anti palestinese.
“La ripetuta difesa di Miller dei crimini di guerra israeliani e le gravi violazioni dei diritti umani, l’incitamento all’odio razziale e le connessioni con gruppi estremisti e violenti fondamentalisti in Israele sono in diretta contraddizione con diritti umani e principi di pace e spirito di questo festival”, rimproverano i coordinatori della campagna Bds agli organizzatori dell’evento.
Nonostante le contestazioni il concerto si tenne comunque ma gli attivisti vennero denunciati dal presidente dalla “Associazione contro l’Antisemitismo e la Discriminazione” che presentò il boicottaggio di un artista come un atto di razzismo e di intimidazione nei confronti degli ebrei in generale; le accuse contestate ai promotori dell’iniziativa andavano dalla violenza privata alle minacce alla conculcazione del libero esercizio dei diritti fondamentali, oltre all’incitamento all’odio.
Né il cantante né la direzione del Festival musicale presentarono alcuna denuncia, ma quella depositata da un piccolo comitato politicamente vicino a Israele venne accolta e gli attivisti filo palestinesi sono stati rinviati a giudizio.
L’11 gennaio scorso, però, la causa è stata definitivamente archiviata dopo l’accoglimento da parte del Tribunale di Valencia del ricorso presentato dalla difesa. Nel pronunciamento dell’Audiencia si rileva che «i fatti che si considerano suppostamente delittuosi si riducono in realtà all’attribuzione al musicista di un presunto posizionamento rispetto alla politica del governo d’Israele, e non sono motivati dalla sua condizione di ebreo, dalla sua religione o da qualsiasi altra circostanza».
Basandosi sulla giurisprudenza creata dalla Corte suprema e dal Tribunale costituzionale spagnoli e dal Tribunale europeo dei Diritti umani (che con una sentenza, l’11 giugno 2020, ha annullato la condanna di alcuni attivisti francesi autori del boicottaggio contro i prodotti importati da Israele), i magistrati spagnoli hanno considerato «estranei al contenuto dell’articolo 510 del Codice Penale quegli atti che tendano a che una determinata persona si esprima contro una politica concreta di un determinato paese».
Si tratta della stessa argomentazione al centro di una massiccia e capillare campagna di solidarietà nei confronti dei processati e che ha raccolto negli ultimi mesi l’adesione di ben 250 entità politiche, associative, sindacali e culturali e di 1450 personalità. Gli avvocati della difesa hanno insistito sulla sacralità del pluralismo politico e del libero esercizio del diritto di critica invitando a non considerare comportamenti penalmente censurabili quelli attuati dai loro assistiti.
In una dichiarazione al settimanale catalano La Directa, Laia Serra, una delle legali degli attivisti, ha assicurato che il pronunciamento della corte rappresenta «una vittoria perché al di là del caso specifico, dietro questo procedimento penale c’era una finalità di tipo politico». Serra ha spiegato che la strategia legale degli ambienti vicini ad Israele consisterebbe nell’impugnare legalmente tutte le mozioni di appoggio alla campagna internazionale Bds (Boicottaggio, Sanzioni e Disinvestimento) votate dai consigli comunali e tentare di far passare le critiche alle politiche di Israele contro la popolazione palestinese come un incitamento all’odio nei confronti degli ebrei.
Ad esempio, alla fine del 2020, l’Alta corte di Giustizia di Madrid ha respinto l’appello presentato dal Consiglio comunale di Cadice contro la sentenza di un tribunale che ha annullato la mozione a favore del boicottaggio contro Israele votata dal consiglio comunale della città andalusa nell’agosto del 2016. Inoltre, lo scorso luglio la Spagna ha adottato la assai estesa definizione di antisemitismo proposta dalla International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), secondo la quale si considera tale l’atto di «ritenere gli ebrei collettivamente responsabili delle azioni dello Stato di Israele» nonché «affermare che l’esistenza di uno Stato di Israele costituisca un’impresa razzista».
Una diversa conclusione del processo, avverte Laia Serra, avrebbe potuto quindi avere gravi conseguenze di tipo legale sulla libertà di espressione e sul diritto di critica politica in generale, non solo sulla vicenda dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi.
Dopo il proscioglimento gli otto attivisti e attiviste hanno reso pubblico un documento nel quale rivendicano che «la magistratura avalla il Bis come strumento di solidarietà con la Palestina e include il boicottaggio all’interno dell’esercizio del diritto alla libertà di espressione».
Infine i processati hanno ringraziato tutti coloro che in questi anni hanno sostenuto la loro battaglia: «hanno cercato di demoralizzarci, ma non ci sono riusciti, e questo processo ci ha unito ancora di più e ci ha reso più saldi nella nostra lotta per i diritti del popolo palestinese e per il BDS, e ci ha infuso ancora più energia per continuare a lavorare per la denuncia dell’apartheid israeliana in Palestina».
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