Damasco, Teheran e Mosca criticano l’intervento militare in Siria per fermare lo Stato Islamico, annunciato ieri da Washington: “Rischia di infiammare la regione” ed è un atto di aggressione contrario al diritto internazionale. La Turchia è riluttante, ma la coalizione di volenterosi va avanti. Cia: oltre 31mila i combattenti jihadisti
AGGIORNAMENTO ORE 13.15 – Israele si schiera dalla parte dell’alleato Washington, ma per Tel Aviv la battaglia contro lo Stato Islamico è un’occasione per spostare l’attenzione dalla questione palestinese. Il premier Benjamin Netanyahu, commentando la richiesta di Obama di un’azione internazionale contro i jihadisti, li ha paragonati ai militanti di Hamas e ha alzato il tiro, puntando all’Iran a cui, ha avvertito, non deve essere concesso nulla sul nucleare. Netanyahu ha detto che Israele “fa già la sua parte” contro il terrorismo islamico, ma non bisogna trascurare il pericolo rappresentato da Teheran e dal suo programma nucleare.
Una strategia per allontanare l’attenzione dai negoziati con i palestinesi ancora in corso dopo la fine dell’offensiva contro Gaza. Dallo Stato ebraico non è ancora arrivata una risposta all’apertura di Moussa Abu Marzouk, vicepresidente dell’ufficio politico di Hamas, sulla possibilità di dialogare con Israele. Al contrario, nel governo si continua a paragonare lo Stato Islamico al Movimento islamico palestinese.
Intanto, a Gaza la marina militare israeliana ha aperto il fuoco contro pescatori palestinesi. È la terza volta questa settimana. La questione dell’ampliamento della zona di pesca al largo delle coste della Striscia è una parte fondamentale dell’accordo che ha messo fine, il 26 agosto, a Margine Protettivo.
AGGIORNAMENTO ORE 12.50 – Il presidente francese Francois Hollande è in visita a Baghdad per offrire sostegno alla battaglia contro lo Stato Islamico. Come partecipante alla coalizione guidata dagli Usa, la Francia farà la sua parte, anche con un impegno militare, ha detto Hollande al presidente iracheno Fuad Masum. Lunedì a Parigi si terrà una conferenza internazionale per coordinare le azioni di aiuto all’Iraq.
AGGIORNAMENTO ORE 12.20 – La Siria deve far parte della coalizione anti-jihadisti guidata dagli Stati Uniti. Così oggi Damasco rivendica un ruolo nella coalizione di volenterosi che si è prefissata di sconfiggere lo Stato Islamico, anche bombardando il territorio siriano. Ipotesi che rappresenterebbe una violazione della sovranità di uno Stato, contraria AL diritto internazionale, ha sottolineato il governo siriano. Dall’entourage del presidente Bashar al Assad arriva il disappunto del governo per l’esclusione, assieme a Russia, Cina e Iran, dall’alleanza messa insieme da Washington. “Siamo le vittime dei terroristi e in quanto tali dobbiamo partecipare alla coalizione anti-terrorsmo”, ha detto Buthaina Shaaban, dell’entourage di Assad.
Intanto, la Germania si è tirata fuori, escludendo la partecipazione delle proprie forze aeree. La Gran Bretagna è indecisa, con il premier David Cameron che resta possibilista: “Non escludiamo alcuna opzione”.
della redazione
Roma, 12 settembre, Nena News – La strategia statunitense contro il dilagare dei jihadisti dello Stato Islamico in Medio Oriente non piace alla Siria e ai suoi alleati, Iran e Russia. I tre Paesi sono stati esclusi dalla coalizione di volenterosi (cui partecipano anche dieci Stati arabi) che si è schierata a favore dei bombardamenti Usa sull’Iraq e pure sulla Siria, dove lo Stato Islamico ha le sue basi, e accusano Washington di violare il diritto internazionale.
Alla triade si è aggiunta anche la Turchia, piuttosto riluttante a prendere parte alla coalizione anti-jihadisti, che non autorizzerà l’impiego delle sue basi aeree per bombardare i vicini Iraq e Siria. Una decisione che ricalca quella presa durante l’invasione dell’Iraq, nel 2003, quando Ankara non consentì alle truppe Usa di stanziare nel Paese, e che è stata giustificata con il timore per gli ostaggi turchi:49 persone, tra cui donne e bambini, nelle mani dell’Isil da giugno. La Turchia, che oggi si sente vittima dell’Isil, è stata spesso accusata di sostenere indirettamente i gruppi islamisti contro il nemico Assad e di avere così perso il controllo sulle sue frontiere, diventate una via di accesso in Siria per combattenti e armi. Oggi, il segretario di Stato Usa, John Kerry, è nel Paese per discutere sulle azioni da intraprendere contro l’Isil. Ankara potrebbe aprire esclusivamente a scopi umanitari la base aerea di Incirlik, nel Sud.
Damasco ieri ha duramente criticato il discorso in cui Obama si impegnava a “dare la caccia ai terroristi ovunque si trovino”, cioè in territorio siriano. “Senza l’approvazione del governo, ogni azione di qualsiasi tipo essa sia è un’aggressione alla Siria”, ha detto il ministro siriano della Riconciliazione nazionale, Ali Haidar, avvertendo che raid non autorizzati rischiano di essere “la scintilla che infiamma la regione” . Secondo Haidar, il contrasto all’Isil (Lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante che ha fondato il suo califfato -Stato Islamico- tra Iraq e Siria) è soltanto un pretesto per attaccare il Paese e rovesciare il presidente Bashar al Assad. In effetti, con Washington si è schierata la Coalizione nazionale dell’opposizione siriana, che da tempo chiedeva un’azione di questo tipo e che punta alla cacciata di Assad con cui Obama ha escluso ogni forma di cooperazione. Il presidente siriano resta il nemico che un anno fa la Casa Bianca voleva bombardare per dare man forte all’opposizione amica, quella che si definisce laica e che dall’inizio della guerra civile, nel 2011, ha perso terreno in Siria, a vantaggio dei gruppi islamisti e qaedisti che ora imperversano nel Paese. Il sostegno (militare) all’opposizione siriana, uno dei cardini del piano di Obama, è in attesa dell’O.K. del Congresso americano. Un anno fa, l’azione armata guidata dagli Usa in Siria è stata fermata dal veto di Mosca che ieri si è unita alle critiche sollevate da Damasco e Teheran.
Per il Cremlino, senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ogni azione militare contro l’Isil è un’aggressione illegale. Un’affermazione che ha scatenato l’ilarità del segretario di Stato Usa, John Kerry, che ha ricordato quanto sta accadendo in Ucraina. Per Teheran, invece, la coalizione dei volenterosi presenta “serie ambiguità”, poiché vi aderiscono Paesi, in particolare le rivali petromonarchie del Golfo, che hanno foraggiato e armato i jihadisti in Siria e in Iraq.
Ma la coalizione è fatta e il tenore del discorso di Obama alla nazione non lascia spazio a ripensamenti: si va avanti con i raid anche sulla Siria, se necessario per fermare l’avanzata dei jihadisti e “distruggere il loro regno del terrore”. Non sono una minaccia diretta alla sicurezza degli Stati Uniti, ma ai suoi interessi nella regione, e secondo le stime della Cia ci sono circa 31mila combattenti in Iraq e in Siria. Il triplo di quanto stimato in precedenza. La campagna di reclutamento è stata rafforzata dal successo dell’avanzata dell’Isil e dalla proclamazione del califfato, ha spiegato il portavoce della Cia, Ryan Trapani. Tra le file del gruppo ci sono anche molti cittadini stranieri e negli Usa si teme che si rivelino una minaccia al ritorno nei rispettivi Paesi occidentali in cui vivono o di cui sono originari.
Dall’inizio dell’estate gli Stati Uniti hanno effettuato oltre 150 raid contro obiettivi dello Stato Islamico in Iraq e hanno inviato diversi esperti militari nel Paese, per affiancare le Forze armate irachene e i peshmerga curdi. Nena News