Il summit di ieri tra Mosca, Iran e Turchia definisce la strategia attuale dei tre attori: Mosca e Teheran danno ai turchi un silenzioso via libera a nord per impedire la frammentazione che Ankara ha sempre sponsorizzato
di Chiara Cruciati
Roma, 5 aprile 2018, Nena News – Sentore di quanto si stava prospettando l’hanno dato le destinazioni dei miliziani islamisti evacuati da Ghouta est nei giorni scorsi: con la ripresa da parte del governo del sobborgo di Damasco controllato dalle opposizioni islamiste dal 2013, migliaia di miliziani hanno accettato di uscire ed essere portati a Idlib, la provincia nord-occidentale da anni ormai enclave dei qaedisti di al-Nusra. Ma non tutti sono stati trasferiti lì. Una parte, quella del gruppo Jaysh al-Islam, la milizia più potente nella Ghouta orientale, sono diretti ad al-Bab e Jarabulus.
Non destinazioni qualunque: nel profondo nord siriano, le due località si trovano all’interno del triangolo Afrin-Manbij-Kobane, nel mezzo del territorio che la Turchia punta a ripulire delle unità di difesa popolari curde Ypg e Ypj.
Il summit di ieri ad Ankara tra Russia, Turchia e Iran pare suggellare le strategie dei tre attori nel paese. Con i paesi del Golfo, Arabia Saudita in testa, che hanno avuto come obiettivo della guerra la frammentazione della Siria e la caduta del presidente siriano Assad, Mosca e Teheran hanno sempre difeso l’unità del paese, un’unità necessaria a una Damasco forte e stabile e dunque parte di quell’asse politico ed economico. Il presidente turco Erdogan si è accodato da poco, con politiche contradditorie: la Turchia è stata in prima linea nell’opera di distruzione della Siria, finanziando i gruppi di opposizione e facendoli transitare per il proprio territorio.
Ora, complici screzi con l’amministrazione statunitense e il riavvicinamento di comodo alla Russia, mostra un’altra faccia. Pur non rigettando la richiesta iniziale – Assad se ne deve andare – è concentrata oggi sulla creazione di un corridoio a nord, senza curdi, dove spostare i rifugiati siriani e i miliziani islamisti a lei fedeli. L’attacco contro Afrin – possibile anche grazie al via libera silenzioso di Mosca – non è che il primo passo.
Ieri ad Ankara i tre presidenti, Putin, Erdogan e Rouhani, hanno ribadito l’impegno a farsi “garanti del raggiungimento di un cessate il fuoco duraturo”, a rigettare “ogni tentativo di creare nuove realtà sul territorio con il pretesto di combattere il terrorismo e contro ogni sostegno a un’agenda separatista che violi la sovranità e l’integrità territoriale della Siria”. Dichiarazioni che paiono dirette proprio al progetto di confederalismo democratico di Rojava, sebbene la Federazione del Nord della Siria abbia da sempre dichiarato di voler restare parte della nazione siriana come soggetto autonomo.
Mosca e Teheran potrebbero, dunque, avallare le ambizioni turche a nord pur di soffocare quelle di frammentazione del paese. L’Iran, in particolare, non ha alcuna intenzione di lasciare mano libera ad Ankara nell’intero paese, una sua influenza su Damasco danneggerebbe il ruolo iraniano. La soluzione, al momento, appare quella di garantire a Erdogan spazio d’azione a nord, dove non solo è presente con le truppe ma dove avanza per basi militari, come le otto basi di osservazione che sta creando nel bubbone jihadista di Idlib. Con buona pace di Teheran che non intende perdere il corridoio che dalla capitale iraniana corre a Baghdad verso Baghdad e il Libano.
L’Iran non ha nascosto nelle scorse settimane il fastidio per la campagna militare contro Afrin: fonti interne parlano di pressioni di Rouhani perché il cantone curdo-siriano venisse riconsegnato a Damasco, togliendolo al controllo di chi c’è oggi, esercito turco ma soprattutto le milizie dell’Esercito Libero Siriano, responsabili dello sfollamento di 300mila persone e dell’occupazione fisica delle case e dei villaggi del cantone, già utilizzati per spostarci dentro rifugiati siriani e miliziani islamisti.
Dare qualcosa per ottenerne un’altra è la strategia russa: con gli Stati Uniti fuori gioco (e che di nuovo ieri in una nota parlavano di missione quasi finita contro lo Stato Islamico), Mosca punta ad arrivare ad un tavolo del negoziato con opposizioni deboli, come oggi di fatto sono quelle islamiste con poche eccezioni, che accettino una pacificazione interna con Assad al governo, almeno nel primo periodo. Nena News
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