Secondo gli inquirenti, il colosso francese sarebbe stato “complice di crimini contro l’umanità” e avrebbe “finanziato il terrorismo” pur di mantenere operativa la sua azienda in Siria. In Iraq, intanto, il premier al-Abadi ha annunciato esecuzioni di masse contro i jihadisti condannati alle pena capitale
di Roberto Prinzi
Roma, 29 giugno 2018, Nena News – Il colosso del cemento francese Lafarge è stato ieri accusato di “complicità in crimini contro l’umanità” e di aver “finanziato il terrorismo” per mantenere aperta la sua fabbrica in Siria. La compagnia, che secondo l’accusa avrebbe pagato i gruppi armati attraverso degli intermediari, è stata anche incriminata anche per aver messo in pericolo le vite dei suoi ex dipendenti dell’azienda a Jalabia, nel nord della Siria.
Proprio a Jalabia, l’accusa sostiene che l’azienda francese avrebbe pagato quasi 13 milioni di euro allo Stato Islamico (Is) pur di tenere operativa la sua fabbrica. Secondo le indagini, i pagamenti della Lafarge Cement Syria (Lcs) erano una “tassa” da pagare per permettere alle merci e allo staff del gruppo francese di potersi muovere all’interno delle aree di guerra siriane. Non solo: gli inquirenti affermano che parte del denaro sarebbe stato destinato anche all’acquisto di petrolio e di altre materie prime presso fornitori legati all’Is. Una fonte vicino alle indagini ha fatto poi sapere che la Lafarge avrebbe anche venduto il cemento ai miliziani jihadisti guidati da Abu Bakr al-Baghdadi. Una giuria formata da tre giudici ha stabilito ieri, inoltre, che il gruppo deve anche consegnare alle autorità 30 milioni di euro come deposito di sicurezza prima che inizi il processo.
Sebbene sia la prima volta che una azienda sia accusata di complicità nei crimini contro l’umanità, otto ex dirigenti dell’azienda francese, tra cui l’ex amministratore delegato Bruno Lafont, sono già stati accusati in passato di aver finanziato un gruppo terroristico e di aver messo in pericolo le vite dei suoi dipendenti a causa delle attività che la Lafarge ha svolto in Siria tra il 2011 e il 2015.
La Lafarge, che si è unita ad Holcim nel 2015, ha fatto immediatamente sapere che si difenderà dalle accuse, negando qualunque sua responsabilità diretta. “Siamo profondamente dispiaciuti per quanto accaduto nella nostra filiale siriana, adotteremo subito delle misure severe”, ha dichiarato Beat Hess, presidente della LafargeHolcim. “Nessuna delle persone accusate è parte oggi della nostra azienda”. Per l’azienda, le accuse “non mostrano chiaramente le nostre responsabilità”.
Ad esultare per l’incriminazione della compagnia francese è l’organizzazione per i diritti umani Sherpa che ha parlato di “passo decisivo nella lotta contro l’impunità delle multinazionali che operano nei conflitti armati”. Sherpa, insieme all’European Center for Constitutional and Human Rights (Ecchr) e 11 ex impiegati, avevano lanciato il caso contro l’azienda. “Le attività della Lafarge in Siria, in un contesto dove sono stati commessi crimini estremamente violenti, perfino fuori l’azienda, mostrano chiaramente come le multinazionali possano alimentare i conflitti” ha detto la direttrice della Ecchr, Miriam Saage-Maass. “La gravità e la portata delle accuse che i tribunali stanno finalmente riconoscendo sono assolutamente storiche” ha poi aggiunto.
In passato diverse compagnie erano state accusate di “complicità nei crimini contro l’umanità”. Tuttavia, alla fine, le accuse erano sempre cadute. Dodici nigeriani portarono in tribunale il gigante dell’energia anglo-olandese Shell per aver commesso torture e abusi dei diritti umani nel Delta nel Niger negli anni ’90. La Corte Suprema però bloccò il caso nel 2013. Nel 2007 la massima corte amministrativa francese dichiarò che non aveva l’autorità legale per stabilire se la compagnia ferroviaria statale Snfc poteva essere ritenuta responsabile della deportazione degli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale.
In Iraq, intanto, ieri il premier iracheno Haider al-Abadi ha ordinato l’immediata esecuzione di centinaia di persone condannate alla pena di morte. La decisione di Baghdad appare un chiaro tentativo di vendetta delle autorità locali dopo la scoperta dei corpi mutilati di 8 prigionieri rapiti e uccisi dallo Stato Islamico avvenuta l’altro ieri a nord di Baghdad. Accusato di fallimento contro il gruppo jihadista, Al-Abadi, che aveva invece dichiarato sconfitto l’Is a dicembre dopo la riconquista della città di Mosul, prova ora a mostrare i muscoli e tramite il suo ufficio fa sapere di aver ordinato “l’immediata punizione dei terroristi condannati alla pena capitale le cui sentenze hanno passato la fase decisiva”.
Non è chiaro quando ora le impiccagioni di massa avranno luogo, né è chiaro il numero esatto di persone che andranno al patibolo. Ad aprile una fonte giudiziaria locale disse che più di 300 persone – tra cui 100 donne straniere – sono state condannate a morte in Iraq per aver fatto parte dell’Is (senza dimenticare poi altre centinaia di imputati a cui è stato dato l’ergastolo). Nel 2017 l’Iraq ha impiccato almeno 111 persone accusate di terrorismo. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir