L’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est annuncia il coprifuoco notturno dopo l’assalto dello Stato islamico alla prigione di Sina’a ad Hasakah. L’operazione continua nel quartiere e nelle zone circostanti per individuare gli islamisti ancora presenti. Dalle confessioni degli arrestati emergerebbe che molti di loro sono arrivati dalle zone occupate dalla Turchia, Gire Spi e Serekaniye
della redazione
Roma, 24 gennaio. 2022, Nena News – L’operazione delle Forze democratiche siriane (Sdf) per fermare l’attacco dello Stato islamico alla prigione Sina’a di Ghiweiran non è ancora terminata. Lo riportano le agenzie locali e le dichiarazioni delle istituzioni dell’Amministrazione autonoma del nord-est che hanno annunciato ieri sera una settimana di coprifuoco notturno nel cantone di Hasakah e nel resto del territorio del Rojava. Dalle sei del pomeriggio alle 6 del mattino, fino al 31 gennaio.
Resteranno aperti i servizi fondamentali, forni, centri medici e stazioni di benzina, mentre subiranno limitazioni i trasporti pubblici tra le città. Una decisione dettata dal pericolo ancora presente nella zona. Gli scontri, seppur sporadici, proseguono e al momento le Sdf sono impegnate a individuare e arrestare i miliziani dell’Isis ancora presenti nel territorio.
Sono stati inviati rinforzi anche a Sheddadi dopo voci di un secondo attacco a un’altra prigione dove sono detenuti miliziani islamisti. Sarebbe invece stato definito il bilancio delle vittime tra i combattenti della Siria del nord-est: 17 membri delle Sdf e delle forze di sicurezza interna (le Asaysh) sono stati uccisi, 23 i feriti, comprensivi anche dei civili che lavoravano nella prigione di Sina’a. Tra gli islamisti si contano 175 uccisi.
Dopo tre giorni di durissima battaglia, iniziata giovedì sera con l’assalto coordinato al centro di detenzione, ieri le Sdf hanno dato dettagli rispetto alla natura dell’assalto. Secondo le confessioni di alcuni degli arrestati, avrebbero partecipato centinaia di miliziani dell’Isis, provenienti dalle aree del Rojava occupate dall’ottobre 2019 dalle truppe turche e dalle milizie islamiste alleate, Serekaniye e Gire Spi, ma anche dal vicino Iraq. La preparazione dell’attacco sarebbe durata mesi, per partire da Ghiweiran, con una rivolta interna dei prigionieri e un’autobomba all’esterno dell’edificio.
La rivolta in carcere è durata giorni. Mentre fuori le Sdf, con il sostegno aereo della coalizione, individuavano e arrestavano i miliziani presenti, molti dei quali avevano trovato rifugio nelle case dei civili (evacuati) e nella Facoltà di Economia, all’interno la rivolta proseguiva: gli operatori medici e i funzionari sono stati presi in ostaggio, le armi delle guardie confiscate.
Secono quanto riportato stamattina dal Rojava Information Center, la prigione è sotto assedio dall’esterno: “Le Sdf usano i megafoni per incoraggiare alla resa. Stamattina un piccolo gruppo di prigionieri è riuscito a uscire e arrendersi. Nella notte ci sono stati momenti intermittenti di calma e di scontri, con i civili di tutti le età che hanno organizzato ronde a protezione dei propri quartieri”.
Resta un dato: lo Stato islamico, come più volte detto, non ha mai cessato di esistere né di operare. La facilità di movimento tra i confini siriano e iracheno è ancora determinante e cellule del gruppo – dopo la fine del progetto territoriale del “califfato” – continuano a operare tra i due paesi, compiendo attacchi a civili. forze di sicurezza.
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Riproponiamo l’articolo pubblicato sabato 21 gennaio su il manifesto, a firma Chiara Cruciati:
Un assalto durato tutta la notte, tra giovedì e venerdì, e proseguito ieri: è il peggiore da anni l’attacco realizzato dallo Stato islamico alla prigione di Sina’a, nel quartiere di Ghiweiran ad Hasakah, nord est siriano. Un attacco coordinato, tra dentro e fuori, tra i prigionieri islamisti detenuti dalle Forze democratiche siriane (Sdf) e le cellule ancora libere di operare.
E un attacco che ha visto mobilitarsi tutti gli attori in campo, plastica rappresentazione del più ampio conflitto che ruota intorno al Rojava. Perché ieri, mentre i combattenti delle Sdf, delle unità curde Ypg/Ypj e delle Asaysh (le forze di sicurezza interne curde) lottavano per mettere in sicurezza i civili e impedire una maxi evasione – anche con il sostegno aereo della coalizione a guida Usa –, droni turchi bombardavano i rinforzi delle Sdf diretti ad Hasakah.
La prigione di Sina’a è in mezzo a uno dei quartieri della città. Accanto ci sono case, civili. Ospita da anni tra i 3.500 e i 5mila miliziani islamisti, tra cui membri della leadership, catturati dalle Sdf e tuttora nel nord-est della Siria nonostante il peso di migliaia di detenuti (tantissimi stranieri) non sia più sopportabile dall’Amministrazione autonoma.
L’attacco è iniziato giovedì sera. Dentro e fuori. All’interno i prigionieri hanno dato fuoco a coperte e materassi e si sono impossessati di armi e munizioni, mentre fuori un’autobomba colpiva l’ingresso principale del carcere.
Altre esplosioni a poca distanza, tre camion di benzina, hanno sollevato in aria una fitta coltre di fumo nero – secondo fonti da noi raggiunte nel Rojava – rendendo la visione impossibile a droni ed elicotteri della coalizione. Da lì lo scontro si è esteso a terra: combattenti delle Sdf contro gli islamisti armati di fucili e lanciarazzi. Gli stessi miliziani avrebbero ucciso sette prigionieri islamisti che avevano optato per la resa.
E si è esteso ai civili: islamisti si sono nascosti in alcune case nelle vicinanze, con la forza. Sarebbero cinque i civili uccisi, secondo il Rojava Information Centre (Ric), uno di loro sarebbe stato decapitato. Le Sdf hanno chiesto la collaborazione della popolazione: non date rifugio agli evasi, avvertiteci.
Sopra, hanno iniziato a volare gli Apache e i droni statunitensi: nel primo pomeriggio di ieri hanno bombardato la prigione e la facoltà di economia, poco distante, uno dei rifugi scelti dai miliziani. Poco prima il quartiere era stato evacuato: in centinaia si sono allontanati dalla città a piedi, mentre veniva imposto il coprifuoco.
«La scorsa notte gli Apache hanno illuminato la zona per assistere meglio le Sdf e le Asaysh sul terreno – ci hanno spiegato dal Ric – e hanno sparato con fucili automatici contro gli assalitori e gli evasi». E ieri truppe statunitensi sono arrivate a bordo di veicoli blindati.
Nelle stesse ore, affatto defilata, è entrata in scena la Turchia, occupante illegittimo di un pezzo di Rojava, che amministra con le sue truppe e con milizie islamiste alleate. Il suo contributo: con un drone ha colpito un veicolo delle Sdf partito da Tel Temer e diretto ad Hasakah. Due i morti. Intanto i giornalisti dell’agenzia Anha riportavano del volo a bassa quota di droni turchi nel distretto di al-Darbasiyah, ad Hasakah.
Secondo le nostre fonti, 91 evasi sarebbero stati catturati dopo la fuga. In serata il comandante delle Sdf, Mazloum Abdi, ha twittato: sono stati tutti ricatturati. Circa 40 gli islamisti uccisi, di cui un cinese: un video della Ronahi Tv mostra corpi a terra, alcuni con addosso cinture esplosive, altri nelle divise arancioni dei prigionieri. Due i combattenti delle Sdf morti, 15 i feriti, secondo fonti curde, mentre l’Afp parla di 23 uccisi. In serata gli scontri sono proseguiti fuori dalla città, dopo la ritirata degli islamisti.
Un attacco coordinato che svela ancora una volta la capacità dello Stato islamico di infiltrare prigioni e campi di detenzione gestiti con difficoltà e in solitudine dalle Sdf. Lo ha ribadito ieri all’agenzia Anf Abdulkarim Omar, co-presidente delle relazioni internazionali dell’Amministrazione della Siria del nord-est:
«Questi eventi sono il risultato dell’incapacità della comunità internazionale di compiere il proprio dovere. Deve avviare processi contro i membri dell’Isis e ogni paese deve riprendere i propri cittadini (foreign fighters, ndr). Il terrorismo dell’Isis è ancora attivo, le sue cellule colpiscono di continuo, mentre la nostra regione è sotto assedio ed embargo».
Un assedio perpetrato dalla Turchia, forza occupante, che ha mostrato di nuovo ieri l’opacità del proprio ruolo, una falsa indifferenza verso l’Isis che si traduce nel sostegno necessario a farlo sopravvivere.