L’offensiva contro la “capitale” siriana dell’autoproclamato Stato Islamico è stata annunciata ieri dalle Forze democratiche siriane. Una battaglia “necessaria” secondo la Francia e che ha incassato subito l’ok di Washington. Un’operazione che potrebbe infliggere un corpo letale agli uomini di al-Baghdadi già sotto duro attacco nel bastione iracheno di Mosul
della redazione
Roma, 7 novembre 2016, Nena News – “La battaglia per liberare Raqqa e i suoi dintorni è iniziata”. Ad annunciarlo ieri è stata la portavoce delle Forze Siriane democratiche (SDF), Jihan Shaykh Ahmad. L’operazione, denominata “la collera dell’Eufrate”, prevedrà l’impiego di 30.000 combattenti. “Raqqa – ha detto Ahmad – sarà liberata con l’aiuto del suo popolo, siano essi curdi, arabi o turkmeni. Sono loro gli eroi che sono rappresentati dalla bandiera delle Sdf”. L’operazione per la liberazione della “capitale” siriana dello Stato Islamico (Is) procederà attraverso due tappe. In una prima fase, spiegano le autorità militari curde, si proverà a prendere il controllo delle aree attorno alla città nel tentativo di isolarla. Una volta raggiunto questo obiettivo, si proverà poi a conquistarla. “La battaglia non sarà semplice e richiederà azioni attente e accurate perché l’Is difenderà [strenuamente] il suo fortino consapevole che una sua sconfitta segnerà la sua fine in Siria” ha spiegato Talal Sello, un altro portavoce delle forze arabo-curde sostenute dagli Stati Uniti.
Raqqa, nel nord della Siria, era abitata prima dell’inizio del conflitto siriano da 240.000 persone. Si stima che 80.000 le persone siano riuscite a scappare dalla città in questi oltre cinque anni di guerra. Nel marzo del 2013 è stata il primo capoluogo di provincia a essere conquistata dall’opposizione siriana. Un dominio effimero quello dei ribelli: sarebbe infatti passata dopo poco (gennaio 2014) nelle mani dell’Isis che ne avrebbe fatto la sua “capitale” siriana una volta annunciato il califfato (giugno dello stesso anno).
Considerata, dunque, la centralità che essa presenta per lo Stato Islamico, va da sé che la sua perdita potrebbe risultare letale per il “califfo” al-Baghdadi. Soprattutto se i jihadisti dovessero perdere contemporaneamente anche il bastione iracheno di Mosul dal 17 ottobre scorso sotto attacco da parte delle forze irachene, curde e della coalizione internazionale a guida Usa.
Proprio l’attacco simultaneo alle due città, ha confessato Sello, “rientrava da un po’ nei piani” delle forze arabo-curde ed ha incassato subito l’ok degli alleati occidentali che in questi mesi hanno fornito alle Sdf addestramento e armi. L’avvio delle operazioni, inoltre, era stato preannunciato lo scorso mese dal segretario alla Difesa Usa Ashton Carter quando, giunto in Iraq per controllare lo stato dell’offensiva a Mosul, aveva dichiarato che un attacco a Raqqa sarebbe avvenuto “nel giro di qualche settimana”. Un battaglia “necessaria” secondo quanto ha dichiarato ieri il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian.
Tuttavia, che è sulla carta più complessa di quella in corso a Mosul. Dopo oltre cinque anni di guerra civile, infatti, la Siria è divisa in diverse aree ciascuna controllata da una differente autorità: una parte del territorio è sotto il controllo del governo siriano; su un’altra detta legge l’autoproclamato califfato; poi vi sono le zone controllate da forze dell’opposizione per lo più islamiste non tanto dissimili per ideologia e pratiche a quelle dell’Is; e infine vi è l’area curda del Rojava.
In questo intricato puzzle, inoltre, si tenga presente che le Sdf sono forze dominate per lo più dai curdi delle Unità di Protezione popolare (Ypg) e sono considerate unità “terroriste” dalla Turchia che ad agosto ha lanciato la sua offensiva nel nord della Siria per combattere sì lo Stato Islamico, ma soprattutto per impedire ai curdi di formare una entità statuale indipendente al confine turco-siriano. L’ostilità di Ankara verso le Sdf, però, deve fare i conti con il sostegno che almeno per il momento sta dando loro l’alleato Washington. Gli statunitensi, infatti, hanno ben poca voglia in questa fase di fare a meno delle uniche forze “on the ground” ad aver inflitto ai jihadisti di al-Baghdadi significative sconfitte in Siria e sembrerebbero pertanto favorevoli ad accettare le condizioni che le forze arabo-curde starebbero imponendo in queste ore.
Secondo quanto ha dichiarato Sello, infatti, le Sdf hanno concordato “definitivamente” con gli Usa che nell’operazione in corso “non spetterà alcun ruolo alla Turchia o alle fazioni ad esse alleate”. Al momento non è giunta alcuna conferma pubblica da parte di Washington né, tantomeno, le autorità turche hanno preferito commentare la notizia. Quel che certo, però, è che ieri c’è stato un vertice ad Ankara tra il capo militare turco, Hulusi Akar, e la sua controparte americana rappresentata da Joseph Dunford. E sempre ieri le forze siriane ribelli sostenute dalla Turchia si sono avvicinate alla strategica al-Bab in mano agli uomini del califfato e si troverebbero ora soltanto a 15 km dalla cittadina vicina al confine turco-siriano. Il messaggio di Ankara è chiaro: noi non ci fermiamo. Nena News