Mentre Erdogan stringe la mano a papa Francesco e al premier Gentiloni, entra nel suo 17° giorno l’operazione “Ramo d’Ulivo”. Oltre 150 i civili uccisi, tra le vittime anche 10 rifugiati che tentavano la fuga verso il territorio turco
AGGIORNAMENTI:
ore 18 – Liberati tutti i manifestanti
Dopo quattro ore bloccati nella piazzetta dei Giardini di Castel Sant’Angelo, tutti i manifestanti sono stati lasciati andare senza identificazione
ore 17.30 – Bloccati da oltre tre ore i manifestanti ai Giardini di Castel Sant’Angelo
Sono bloccati dalle 14 i manifestanti curdi e italiani nei Giardini di Castel Sant’Angelo. La polizia ha circondato la piccola piazza e non intende lasciarli andare se non dietro identificazione. Altri manifestanti sono accorsi per distribuire acqua e pacchetti di patatine. “Siamo prigionieri”, dicono gli attivisti di Rete Kurdistan
ore 13.45 – La polizia carica i manifestanti. Foto e video Chiara Cruciati/Nena News
ore 12.15 – Manifestazione a Roma contro la visita del presidente turco Erdogan. Foto e video: Chiara Cruciati/Nena News
Al presidio contro la visita del presidente turco Erdogan a Roma parla la presidente di Uiki (Informazione del Kurdistan in Italia) Ozlem Tanrikulu.
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della redazione
Roma, 5 febbraio 2018, Nena News – Diciassettesimo giorno di offensiva turca sul cantone curdo siriano di Afrin: mentre il presidente della Repubblica turca Erdogan fa visita a papa Francesco, al presidente Mattarella e al primo ministro Gentiloni, in una Roma blindata, i raid aerei proseguono nel nord della Siria.
Le vittime civili aumentano di ora in ora, l’ultimo bilancio – sabato – parlava di 150 morti e quasi 300 feriti. Il bilancio è del Consiglio per la Salute di Afrin che però aggiunge: i numeri sono quelli effettivamente verificati, il timore è che siano molto più alti. La maggior parte, spiega il Consiglio, sono sfollati da altre zone della Siria, bambini e donne da Azaz, Raqqa e Idlib che avevano trovato rifugio nel cantone curdo.
Ieri Afrin si è mobilitata, alla difesa quotidiana delle unità popolari Ypg e Ypj si è aggiunta la marcia per le strade del cantone. Migliaia di persone si sono ritrovate nel centro della città per chiedere la fine dell’operazione “Ramo d’Ulivo”. Decine di giovani si sono uniti alle fila delle unità di difesa, tanti altri i volontari negli ospedali, sempre più sul baratro a causa di attacchi e mancanza di medicinali. Nelle stesse ore a Sinjar, nel nord-ovest dell’Iraq a manifestare in solidarietà con Afrin erano gli yazidi, minoranza che ha trovato la salvezza dall’assedio dell’Isis al monte Sinjar nell’agosto 2014 grazie all’intervento di Ypg e Pkk.
Intanto ad Ankara il governo turco dà i suoi numeri, altro campo di battaglia di questa offensiva: 947 combattenti sono stati uccisi, ha detto oggi l’esercito, membri delle Ypg e dell’Isis. Un elemento importante che mostra la narrativa deviata del governo turco che insiste nella presenza dello Stato Islamico ad Afrin, nonostante siano state proprio le Ypg a combatterlo a Kobane, Raqqa, Manbij. Millantandone la presenza, Ankara tenta di non allontanarsi troppo dalla visione ufficiale statunitense che, pur senza intervenire, ribadisce l’obiettivo comune, ovvero sradicare l’Isis.
Secondo Ankara, inoltre, i miliziani dell’Esercito Libero Siriano – opposizione al governo di Damasco – avrebbero occupato un’altra collina vicino ad Afrin, la collina 1027. Di conferme non ne arrivano: per le Ypg le vittorie rivendicate dalla Turchia non sono reali, tutte impedite dalla resistenza sul terreno.
Di certo c’è la denuncia mossa sabato dall’organizzazione internazionale Human Rights Watch: l’esercito turco apre il fuoco e picchia i siriani che tentano la fuga dai bombardamenti. Persone fuggite da Idlib – provincia nord-ovest dove sono concentrate le opposizioni islamiste e dove sono ripresi gli scontri con il governo di Damasco – e da Afrin vengono respinti in modo indiscriminato con l’uso della forza illegale. Sarebbero già dieci i morti, dice Hrw, tra loro un bambino.
Aumenta anche la repressione interna: dal 20 gennaio, inizio dell’operazione nel nord della Siria, sono già 449 i cittadini turchi arrestati per “propaganda del terrorismo” via social network. I numeri li ha dati il Ministero dell’Interno, parte di un’ampia campagna di censura che ha colpito al momento semplici cittadini, giornalisti e membri o sostenitori del partito di opposizione Hdp. Nena News