Dopo una settimana di negoziato, nessun passo avanti. Ieri il governo ha accusato le opposizioni di boicottare il tavolo. Nel nord del paese sempre più vicino lo scontro Damasco-Ankara
della redazione
Roma, 3 marzo 2017, Nena News – Mentre sul campo di battaglia le tensioni belliche tra governo e opposizioni non si spengono ma si spostano da al-Bab a Manbij, a Ginevra il negoziato procede a rilento tra accuse incrociate e obiettivi diversi. Nei giorni scorsi il dialogo si è arenato sulle priorità: il governo vuole focalizzare la discussione sul contro-terrorismo, le opposizioni su una transizione politica che veda l’uscita di scena dell’attuale presidente, Bashar al-Assad.
Ieri il capo negoziatore governativo, l’ambasciatore siriano all’Onu Jaafari, ha attaccato le opposizioni: tentano di far saltare il tavolo, ha detto, l’Alto Comitato per i Negoziati (Hnc, la federazione dei gruppi anti-Assad nata a Riyadh alla fine del 2015) tiene in ostaggio i negoziati e alcuni suoi membri sono “traditori” perché ricevono sostegno da Israele, Turchia e Arabia Saudita. Nello specifico, il governo accusa l’Hnc di monopolizzare il fronte di opposizione, tagliando fuori le piattaforme del Cairo e di Mosca, due gruppi più vicini alle istanze russe e maggiormente tollerati da Damasco.
Il clima non è certo disteso e i riflessi si vedono subito: di passi avanti, ad una settimana dall’apertura del tavolo, non se ne registrano. Giovedì il governo aveva visto una parte della delegazione negli uffici di Mosca a Ginevra, una mossa che sembrava potesse aprire nuove vie. Ma è stata la stessa Russia a raffredare facili entusiasmi: “Il dialogo di nuovo solleva dubbi sulla capacità dei rappresentanti delle opposizioni di arrivare ad un accordo – il commento della portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova – Il cosiddetto Alto Comitato per i Negoziati sta nei fatti sabotando un dialogo pieno”.
In parallelo procede anche il tavolo di Astana, imbastito da Russia, Turchia e Iran: una via separata da quella Onu che potrebbe riaprirsi a breve. Il 14 marzo, dicono fonti russe, nell’obiettivo di fare pressioni politiche sulle parti.
Tutto come prima. Unica significativa differenza è il cessate il fuoco nazionale: dopo l’accordo di dicembre la tregua regge in quasi tutto il paese. Gli scontri sono sporadici e concentrati in zone limitate, seppur strategiche. È il caso della parte settentrionale della provincia di Aleppo dove la tensione bellica è concreta. Al centro dello scontro tra governo e opposizioni – e indirettamente tra Russia e Turchia – ci sono al-Bab e Manbij, due comunità al confine con il territorio turco e al centro della regione kurda di Rojava.
La questione è finita, ovviamente, a Ginevra dove ieri al-Jaafari ha detto che Damasco si riserva il diritto di usare la forza contro le truppe turche per aver invaso il paese. Dalla fine di agosto del 2016 l’esercito di Ankara, appoggiato dall’Esercito Libero Siriano ma anche da altre sacche di “ribelli” islamisti arrivate a nord dopo la sconfitta di Aleppo, ha invaso il nord della Siria nell’ambito dell’operazione Scudo dell’Eufrate. Un’operazione con un doppio obiettivo: impedire l’unità kurda e creare de facto una zona cuscinetto a maggioranza sunnita dove esercitare la propria diretta influenza tramite le opposizioni sponsorizzate.
È proprio lì che nelle ultime settimane i due fronti si sono trovati faccia a faccia: prima scontri ad al-Bab in cui sono morti 22 soldati governativi e poi i missili su Manbij, che hanno spinto le Forze Democratiche Siriane ad affidarsi al governo cedendogli il controllo – a fini protettivi – della linea di difesa occidentale della città target della Turchia. Un accordo “storico” tra la federazione a maggioranza kurda e il governo che svela le mille contraddizioni della guerra a bassa intensità siriana: la Turchia sostiene i gruppi anti-Assad, l’uomo di Mosca con cui organizza conferenze congiunte ad Astana; e combatte le Ypg kurde, considerate terroriste ma appoggiate dagli Stati Uniti, alleato turco e suo partner nella Nato.
Sullo sfondo il timore, non certo campato in aria, della kurda Rojava: di finire sacrificata di nuovo, di venire usata come una pedina da gettare quando non serve più. Nena News