Era entrato ieri nella sede diplomatica di Riyadh a Istanbul e non ne è più uscito. Era fuggito dall’Arabia Saudita un anno fa per le sue posizioni critiche verso Mohammed bin Salman
della redazione
Roma, 4 ottobre 2018, Nena News – Che fine ha fatto Jamal Khashoggi? Secondo la Turchia è dentro il consolato saudita di Istanbul, secondo Riyadh no. Scricchiola ancora di più la versione saudita sulla scomparsa del noto giornalista saudita, dissidente in auto-esilio negli Stati Uniti dopo aver espresso critiche dure alle politiche del principe ereditario Mohammed bin Salman.
Khashoggi ieri, alle 13, era entrato nel consolato del suo paese a Istanbul per alcuni documenti. Fuori, ad attenderlo, la fidanzata Hadice. Ma Khashoggi non è più uscito. La fidanzata ha subito chiamato la polizia. Amici, parenti e Washington Post, il quotidiano di cui è editorialista, ne chiedono l’immediato rilascio. “Abbiamo preso contatti con tutti quelli che pensiamo siano in gradi di individuarlo e garantire la sua sicurezza, compresi funzionari statunitensi, turchi e sauditi”, ha scritto in una nota il caporedattore responsabile degli editoriali del Wp, Fred Hiatt.
“Dalle informazioni che abbiamo, questo individuo che ha nazionalità saudita è ancora dentro il consolato”, ha detto ieri notte Ibrahim Kalin, il portavoce della presidenza turca, che ha poi aggiunto di essere in contatto con le autorità della petromonarchia per risolvere la questione. Opposta la versione saudita: un funzionario ha detto alla Reuters che Khashoggi “non è nel consolato né in custodia saudita”. Sarebbe uscito poco dopo essere entrato, aggiunge. Un piccolo scontro diplomatico quello tra Turchia e Arabia Saudita che si inserisce in una più ampia tensione regionale, con Ankara che si è subito posta al fianco del Qatar quando nel giugno 2017 iniziò l’isolamento e il boicottaggio da parte del resto del Golfo.
Della scomparsa si sta interessando anche il Dipartimento di Stato degli Usa, dove il giornalista vive in auto-esilio dopo la fuga dal suo paese un anno fa, a settembre, quando Mohammed bin Salman lanciò un’ampia campagna di arresti di intellettuali e giornalisti. Due mesi dopo seguirono le cosiddette “purghe saudite” con l’arresto di funzionari, ex ministri e principi membri della famiglia reale in una non meglio definita azione anti-corruzione, da molti letta come il tentativo di eliminare ogni voce critica o possibile opposizione interna.
Khashoggi è sicuramente una voce critica. Scrittore, giornalista, corrispondente estero, noto per le sue interviste a Osama bin Laden tra il 1987 e il 1995, dopo aver lavorato per la famiglia reale come consigliere, ha criticato le politiche assunte dal principe ereditario, de facto il reggente, in ambito economico, la guerra in Yemen, la rottura dei rapporti con il Canada un mese fa, ma soprattutto la censura interna contro chiunque muova dei dubbi sulla gestione della monarchia.
“Mentre parlo oggi – disse a marzo ad al Jazeera – ci sono intellettuali e giornalisti in prigione. Oggi nessuno osa parlare o criticare le riforme. È molto meglio per lui lasciare spazio di dibattito ai critici, agli intellettuali sauditi, agli scrittori sauditi, ai media sauditi”. Nena News