La legittimità e l’ampio consenso di cui gode la monarchia si basano sui secoli di storia unitaria dei territori che oggi compongono il paese. Un sostegno indiscusso di cui pagano le spese gli oppositori politici e i saharawi
Fu a partire dagli inizi dal 1800 che i territori che oggi compongono il Marocco, a lungo uniti sotto varie dinastie islamiche, furono oggetto dell’interesse delle potenze europee. La geografia per prima fece sì che i territori marocchini fossero fondamentali per i commerci: la Spagna ne conquistò la striscia costiera già prima del 900. Il ventesimo secolo vide la Francia ostacolare l’influenza spagnola nel territorio e porre il regno diventare un suo protettorato dal 1912 al 1956. Il paese è governato da una monarchia che gode di ampia legittimità fondata su base islamiche e ciò, secondo alcuni analisti, è il motivo dello scarso proliferare di partiti di ispirazione islamica (tendenza che sta cambiando con il PJD). Il 60 per cento della popolazione è di origine berbera, mentre il 40 per cento è di etnia araba.
La legittimità del trono è stata conquistata dal sultano marocchino durante il periodo della colonizzazione francese. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, infatti, l’allora sultano si rese protagonista del movimento nazionalista, “Istiqlal”, attraverso richieste e discorsi che pretendevano l’immediata indipendenza del paese. I francesi, che governavano attraverso un mandato, decisero così di deporre Muhammad V e lo mandarono in esilio in Madagascar, da cui fece ritorno tre anni dopo. Il 2 marzo del 1956 il Marocco divenne indipendente e Muhammad V fu incoronato suo primo re.
Alla successione del trono lo seguì Hassan II, che si trovò a capo di uno stato debole economicamente e politicamente, e che governò per 38 anni. Un regno contraddistintosi nei decenni per aver represso violentemente l’opposizione, con purghe e uccisioni di centinaia di persone, per culminare nella sospensione della Costituzione. Hassan II subì due tentativi di colpi di stato all’inizio degli anni ’70, periodo che venne conosciuto come quello degli anni di piombo marocchini.
Negli anni settanta emerse la questione del Sahara occidentale e delle sue ricchezze (territorio allora sotto il dominio coloniale spagnolo, oggi occupato dal Marocco e rivendicato dagli indipendentisti del Fronte Polisario) ad oggi ancora irrisolta: per distogliere l’attenzione dal dissenso politico e rilanciare l’economia, Hassan II invitò i suoi sudditi a riprendersi le “storiche provincie del sud”. La propaganda reale ebbe l’effetto sperato: il 7 novembre 1975 300 mila marocchini realizzarono la “Marcia Verde”, camminando da Tarfaya fino a Laayoune. Il movimento di rivendicazione per l’indipendenza del Sahara Occidentale si riunì attorno al Fronte Polisario, sorto nel 1973 contro gli occupanti spagnoli e costituito anche da membri del Partito Comunista marocchino, finanziato dall’Algeria e dalla Libia di Gheddafi.
All’inizio degli anni ’80 le proteste del popolo a seguito delle politiche dettate dal Fondo Monetario Internazionale sull’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità – approvate dal re – sfociarono nella “Rivolta di Casablanca”. Le sollevazioni furono violentemente represse con i carri armati. Il regno di Hassan II terminò nel 1999: al trono salì suo figlio con il nome di Mohammed VI.
Il regno di Mohammed VI è caratterizzato dalla modernizzazione, un aumento delle politiche liberiste ma anche da una maggiore concessione di diritti formali richiesti dalla piazza. Durante la cosiddetta “primavera araba”, infatti, Mohammed VI accolse subito le richieste dei rivoltosi modificando la Costituzione e nominando nuovo governo all’inizio del 2012, spegnendo così sul nascere i fuochi della rivolta. I cambiamenti alla Costituzione garantiscono maggiori poteri al primo ministro e ufficializzano la lingua amazigh, riconoscendo finalmente il peso della cultura berbera nel paese. Nena News
(Scheda a cura di Andrea Leoni)
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