Raggiunta un’intesa tra le Forze Democratiche Siriane e il governo Assad per proteggere le comunità dall’operazione turca. Arrivano i soldati governativi, mentre quelli statunitensi se ne vanno. Ankara colpisce un convoglio di sfollati e giornalisti, 11 morti e 73 feriti
di Marco Siragusa
Roma, 14 ottobre 2019, Nena News – Una giornata brutale e cruciale quella che si è consumata ieri nel nord della Siria. Un raid aereo turco ha centrato un convoglio di sfollati e giornalisti, partito da Tel Temer: undici morti e 73 feriti, un massacro. Tra i morti anche un giovanissimo giornalista curdo Seed Ehmed, corrispondente di Hawar News. Feriti quattro reporter.
Nelle stesse ore gli Stati Uniti concludevano il breve percorso che in pochi giorni gli hanno permesso di dare via libera all’aggressione turca. Dopo aver ritirato i marines dalle basi al confine verso l’interno, ieri il presidente Trump ha ordinato il ritorno in patria di circa soldati statunitensi su un totale di 2mila. Ad annunciarlo il segretario alla Difesa Mark Esper che ha dato come giustificazione la possibilità che le truppe Usa “si trovino in mezzo a due eserciti in avanzamento, una situazione insostenibile”.
Il video dei feriti del convoglio:
Definire le Sdf un esercito pari al secondo della Nato, quello turco, appare come l’ultimo schiaffo a chi per anni è stato sul campo sconfiggendo lo Stato Islamico e distruggendone le ambizioni territoriali. Vero è che sul terreno a combattere le unità di difesa di Rojava non ci sono i soldati turchi, fermi nello retrovie: ad avanzare sono migliaia di miliziani islamisti, tra gli 11mila e i 14mila, membri di gruppi dell’opposizione siriana, dall’ex al Nusra all’Esercito libero siriano. Che avanzano grazie alla copertura dei raid aerei turchi e dell’artiglieria pesante e operano per massacri.
Come quello che domenica ha ucciso nove persone tra cui la segretaria generale del Partito per il Futuro della Siria, Hevrin Khalaf, nota attivista per i diritti delle donne. Hanno sparato sulle auto che li trasportavano tra Qamishlo e Manbij sull’autostrada M4, costrette a fermarsi e poi uccisi a sangue freddo.
Così avanzano e occupano comunità. Ieri Ankara ha annunciato la presa del centro della città di Tal Abyad e di un pezzo dell’autostrada M4, che corre dall’est all’ovest del nord siriano: 30-35 chilometri, riporta il ministero della Difesa, che è fondamentale agli spostamenti delle Forze Democratiche Siriane, le Sdf, la federazione multietnica e multiculturale guidata dai curdi e impegnata da anni nella liberazione delle città e i villaggi dal giogo Isis.
E mentre Berlino e Parigi mandavano appelli ad Ankara perché interrompa l’operazione e alcuni paesi europei – dall’Olanda alla Norvegia, dalla Germania alla Francia – annunciavano lo stop alla vendita di armi alla Turchia (con Erdogan che ha risposto picche), è sul terreno che qualcosa si è mosso: un incontro tra le Sdf e il governo siriano in una base russa in Siria. Da tempo le forze curde hanno aperto al dialogo con Damasco, in passato dato per partito ma poi scomparso dai radar. In questi ultimi giorni in numerose interviste i co-leader della Federazione delle Nord hanno parlato di porte aperte.
La notizia dell’incontro è giunta poche ore dopo l’annuncio fatto dalla tv di Stato siriana, poi confermata anche dalla Federazione del Nord: truppe governative si sono mosse verso nord per confrontare l’aggressione turca, assumeranno il controllo di Kobane e Manbij, proteggeranno il confine e riprenderanno le comunità già occupate. Dal Rojava Information Center, questa mattina, fanno sapere che le truppe sono transitate per Raqqa e Taqba, dirette ad Ayn Issa.
La speranza a nord è che stavolta i soldati governativi intervengano nella battaglia, non limitandosi a restarne a distanza come accaduto tra il gennaio e l’aprile 2018 quando la Turchia occupò il cantone nord-ovest di Afrin. Poi si vedrà come sarà gestita l’amministrazione politica.
La situazione è drammatica, ora dopo ora. Aumenta il numero di morti e feriti gravi – rispettivamente almeno 68 e 203 secondo il Rojava Information Center fino a ieri, prima dell’attacco al convoglio a Sere Kaniye – e si moltiplica quello di sfollati: 140mila secondo l’Onu, 200mila secondo i curdi. Che potrebbero diventare in breve tempo mezzo milione, avvertono le Nazioni Unite.
Ma a muoversi sono anche gli islamisti dell’Isis. Rafforzato dal caos della guerra e dalle bombe turche cadute accanto alle carceri e ai centri di detenzione, sono almeno 950 quelli fuggiti dal campo di Ain Issa, tra miliziani e familiari, dopo aver aggredito le guardie. Erano poco più di mille prima dell’evasione. Nena News