Il Presidente della Federcalcio palestinese chiede alla Fifa di sanzionare Israele dopo il raid compiuto dalle forze di sicurezza di Tel Aviv presso la sua sede la scorsa settimana.
della redazione
Roma, 2 dicembre 2014, Nena News - Il Presidente della Federcalcio palestinese, Jibril Rajoub, è furioso. Domenica notte ha chiesto al capo della FIFA [Federazione internazionale di calcio, ndr], Sepp Blatter, di sanzionare Israele dopo che la scorsa settimana forze armate israeliane avevano fatto irruzione nella sede della Lega calcistica locale.
“Penso che sia giusta l’ora di punire Israele. Quanto è accaduto non ha precedenti nella storia dello sport e richiede, pertanto, una posizione dura da parte della famiglia del calcio” ha dichiarato domenica ai giornalisti a Manila dove la sua nazionale è stata nominata squadra dell’anno alla Confederazione del calcio asiatico (AFC) in seguito alla vittoria ottenuta nella Challenge Cup del AFC.
Il presidente ha rincarato la dose: “non credo che gli israeliani abbiano il diritto di godere del diritto di giocare mentre, contemporaneamente, lo negano ad altri. E’ giunta l’ora che Israele riceva il cartellino rosso”.
Israeliani e palestinesi si dovrebbero incontrare ai margini dell’incontro della Commissione esecutiva della FIFA fissato per questo mese. Tuttavia, al momento, un riavvicinamento tra le due parti appare improbabile. Anche l’AFC ha denunciato l’“aggressione” compiuta dai militari di Tel Aviv presso la sede della Federcalcio palestinese. Il suo Presidente, lo Sheykh Salman Bin Ebrahim al-Khalifa, ha parlato di “azione intollerabile e inaccettabile”. Anche Blatter si era detto “molto dispiaciuto” per l’accaduto, ma aveva scelto di non prendere alcun provvedimento contro la federazione calcistica israeliana.
“Vorrei che il gioco [del calcio] fosse uno strumento per costruire un ponte piuttosto che alimentare odio. Quello che noi viviamo è catastrofico” ha dichiarato Rajoub. Il numero uno del calcio palestinese si è poi detto preoccupato per le restrizioni di viaggio che Israele potrebbe decidere verso alcuni componenti della sua nazionale e che metterebbero a serio rischio la loro partecipazione alle fasi finali della Coppa Asia in Australia in programma a gennaio. “Sono certo che ad alcuni di loro non verrà permesso di viaggiare – ha dichiarato Rajoub – tuttavia, noi siamo determinati e continueremo [a giocare] anche se Israele non dovesse permettere a tutti di partecipare”.
Secondo Rajoub, il “raid” israeliano della scorsa settimana sarebbe durato 40 minuti. Tre veicoli armati avrebbero raggiunto la sede della Federcalcio palestinese ad ar-Ram (a otto chilometri a nord di Gerusalemme) e, senza fornire alcuna spiegazione, avrebbero controllato dei documenti scontrandosi con gli impiegati. Per gli israeliani, invece, si sarebbe trattato di un “controllo di routine”.
Ma i “controlli” degli apparati di sicurezza di Tel Aviv a sedi sportive palestinesi non sono nuovi. Pochi giorni fa la Federazione calcistica palestinese (la cui autorità è limitata solo alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza) ha protestato perché forze di polizia israeliane si sono presentate presso gli uffici del Bnei Saknin, squadra “araba” della Galilea che partecipa al campionato israeliano. Anche qui, secondo le versione israeliana, si sarebbe trattato di un “normale controllo” per verificare le carte d’identità di alcuni palestinesi cittadini dello stato ebraico.
Accanto ai “controlli” alle sedi sportive, ci sono poi i calciatori palestinesi a cui Israele impedisce il movimento limitando i loro allenamenti o le loro partecipazioni alle partite del campionato locale. Senza dimenticare i tanti professionisti che sono stati feriti (e perfino assassinati) durante le operazioni militari israeliane in cui, come accaduto durante Piombo fuso, non sono stati risparmiati dai raid (quelli sì) dell’aviazione israeliana nemmeno le strutture sportive. E come se non bastasse, a peggiorare il quadro, c’è poi l’incapacità (o la non volontà?) della Federazione Calcio israeliana di punire duramente club come il Beitar di Gerusalemme che vanta il (poco prestigioso) record di non aver mai ingaggiato calciatori “arabi”.
Di fronte a tutto questo la FIFA e la UEFA (Unione delle federazioni calcistiche europee) non prendono provvedimenti. Forse saranno troppo prese a sanzionare duramente chi accende un fumogeno in uno stadio. O forse sono troppo intente a filmare spot “contro il razzismo” con campioni miliardari e a cucire il logo “Respect” sulle costose maglie delle squadre di calcio. Nena News