A una settimana dal voto amministrativo, il paese è attraversato dalle proteste dei lavoratori. La struttura economica e sociale tunisina pone la classe lavoratrice necessariamente al centro del dibattito. Proprio da qui potrebbe venire la spinta per un ulteriore mutamento dello status quo
di Francesca La Bella
Roma, 1 maggio 2018, Nena News – Tra pochi giorni si terranno in Tunisia le prime elezioni amministrative successive alla primavera araba e alla rivoluzione dei Gelsomini. Il 6 maggio i cittadini tunisini verranno chiamati alle urne per scegliere i circa 7mila membri dei consigli comunali di 350 comuni distribuiti nel paese, ma le consultazioni elettorali sono già iniziate.
Il 29 aprile gli agenti di sicurezza e i militari hanno potuto, per la prima volta nella storia della Repubblica tunisina, esercitare il loro diritto di voto e si sono recati alle urne. Secondo il presidente dell’Istanza elettorale per le elezioni (Isie), Mohamed Tlili Mansari, solo 12 per cento degli aventi diritto avrebbe partecipato al voto, nella capitale la partecipazione si sarebbe fermata al 7 per cento ed alcuni seggi, circa una decina, sarebbero rimasti deserti.
Secondo alcuni analisti, la bassa affluenza alle urne sarebbe da imputare agli inviti al boicottaggio da parte dei sindacati. La campagna elettorale tunisina è stata segnata da forti proteste sul caro vita e sulle politiche economiche del governo in carica. Gli scioperi si sono susseguiti nei mesi e, per quanto non sia ancora possibile dare una stima reale dell’impatto di queste proteste sul voto, i due aspetti sono necessariamente collegati.
A seguito dell’imposizione da parte del Fondo Monetario Internazionale di vincoli di bilancio stringenti, le politiche di contenimento della spesa hanno impattato su un sistema economico già fragile. L’inflazione è in continua crescita (7,1% a febbraio, 7,6% a marzo) e le condizioni di vita delle fasce più deboli sono sempre più difficili. A fronte dei 100 milioni di dinari (41,3 milioni di dollari) che ogni mese vengono richiesti dal Fmi per coprire il deficit dei fondi, gli investimenti in welfare e servizi sono sempre più limitati. Parallelamente il blocco degli aumenti stipendiali e dei sussidi hanno seminato il terreno delle proteste.
E’ in questo contesto che dovono essere letti lo sciopero generale dei porti tunisini di fine aprile, così come il movimento di protesta che ha attraversato dalla fine dello scorso anno il mondo dell’istruzione tunisino. I professori tunisini chiedono che venga posta fine al processo di disintegrazione della scuola pubblica e che inizi un nuovo corso di riforme e di investimento nella formazione. Le manifestazioni e gli scioperi sono, però, rimasti inascoltati e, dopo l’ennesimo rifiuto al dialogo, il 13 aprile l’Unione Generale del Lavoro Tunisina (Ugtt) e la Federazione Generale dell’Educazione Secondaria (Fgesec) hanno indetto uno sciopero ad oltranza a partire dal martedì successivo e conclusosi il 25 aprile.
Molto interessante notare, in questo contesto, due aspetti. In primo luogo i sindacati portano avanti una battaglia per i diritti a tutto tondo che trascende dallo stretto ambito concertativo. Alle rivendicazioni sindacali come la pensione a 55 anni dopo 30 anni di lavoro e alle richieste di maggiori fondi, si affianca, infatti, una critica globale al sistema di privatizzazione dell’istruzione e di svuotamento dell’essenza formativa della scuola. Allo stesso modo, l’aver inserito le proteste contro le politiche di austerità e contro il Fmi nel più ampio quadro del tradimento della rivoluzione, permette di comprendere l’ampio respiro della mobilitazione e le tensioni crescenti alla vigilia del voto amministrativo.
Alla luce di tutto questo è facile immaginare che, nonostante tentativi di mediazione del governo e fratture all’interno degli stessi sindacati, la stagione delle proteste non troverà fine all’indomani delle elezioni regionali. La struttura economica e sociale della Tunisia, a differenza di alcuni paesi della stessa area, mette la classe lavoratrice necessariamente al centro del dibattito e, proprio da questi settori, potrebbe venire la spinta per un ulteriore mutamento dello status quo. Nena News