Nella prima tappa del suo tour, il segretario di stato Usa ha garantito che la possibile vendita di F-35 ad Abu Dhabi non intaccherà il vantaggio militare che Israele vanta nella regione. E ha promesso nuovi accordi di normalizzazione tra lo Stato ebraico e i paesi arabi
di Michele Giorgio – Il Manifesto
Gerusalemme, 25 agosto 2020, Nena News – I media di Abu Dhabi e Dubai ieri hanno celebrato con orgoglio le foto di Giove e Saturno inviate dalla sonda emiratina “Hope” che ha percorso i primi 100 km del suo viaggio verso Marte. Presto in ossequio a Mohammed bin Zayed, principe ereditario e reggente, esalteranno l’acquisto da parte degli Emirati di caccia di produzione statunitense F-35, i più avanzati al mondo.
A confermarlo indirettamente è stato ieri il segretario di stato Usa Mike Pompeo proprio mentre a Gerusalemme si affannava a spiegare che la vendita ad Abu Dhabi degli F-35 – in possesso solo di Israele in Medio oriente – non è stata ancora definita e non rientra nel quadro degli accordi di normalizzazione tra Israele ed Emirati. Ma si farà. Perché questa è una delle condizioni non scritte più importanti poste da Mohammed Bin Zayed per il via libera ai rapporti alla luce del sole con lo Stato ebraico e per dimenticare i diritti dei palestinesi. Abu Dhabi, forte dell’alleanza con Israele, punta ad essere la potenza regionale araba a scapito dei cugini-rivali dell’Arabia saudita. E ha bisogno degli F-35.
Il governo israeliano si era agitato. Netanyahu si è ritrovato sotto accusa per aver dato la sua tacita approvazione alla vendita degli aerei ai nuovi alleati nel Golfo – però continua a negarlo – senza aver prima consultato almeno il ministro della difesa Benny Gantz. Pompeo si è precipitato a Gerusalemme. Ha detto che gli Stati Uniti troveranno un modo per bilanciare l’aiuto agli Emirati senza che ci siano ripercussioni per Israele.
Tel Aviv continuerà a godere, grazie alle armi di Washington – pagate in buona parte con i soldi del contribuente statunitense – di una netta superiorità militare nella regione mediorientale. «Gli Stati Uniti hanno un impegno giuridico» nei confronti di Israele «e continueranno a rispettarlo», ha ricordato Pompeo facendo riferimento alla legge voluta dal Congresso che condiziona all’approvazione di Israele le vendite di armi americane ai paesi arabi (e non solo), anche quelli che sono alleati e collaborano attivamente con Tel Aviv.
Allo stesso tempo il segretario di stato ha fatto capire che ci sono anche gli Emirati con cui gli Usa «hanno rapporti in materia di sicurezza da oltre 20 anni…ai quali – ha spiegato – abbiamo fornito assistenza tecnica e militare…e continueremo ad accertarci di fornire loro ciò di cui hanno bisogno per mettere al sicuro e difendere la propria gente dalla minaccia (iraniana)». In sostanza ci sono in ballo anche i miliardi di dollari che gli Emirati sono pronti a spendere per avere gli F-35 e Tel Aviv deve mostrare un po’ di flessibilità.
Gli Usa ora parlano di nuovi importanti sviluppi diplomatici. «Spero davvero di vedere altri paesi arabi unirsi a tutto questo», ha detto Pompeo riferendosi all’accordo Israele-Emirati. «Per gli arabi – ha detto – è l’occasione di lavorare fianco a fianco, di riconoscere lo Stato di Israele…e di rafforzare la stabilità in Medio Oriente e migliorare la vita delle persone».
Washington ora preme sull’Arabia saudita, vuole una decisione in tempi stretti. Ma da Riyadh arrivano pochi segnali. Negli ultimi due-tre anni i Saud erano apparsi i più pronti all’accordo con Israele. Invece, dopo il passo fatto da Abu Dhabi, Mohammed bin Salman, erede al trono saudita, ha preso male la love story tra Emirati e Israele e ha tirato il freno a mano. Come d’incanto si è ricordato dei diritti dei palestinesi che proprio lui aveva totalmente messo da parte. Quindi ha fatto sapere che, senza lo Stato palestinese, Riyadh non firmerà alcun accordo.
Più semplice il caso del Bahrain, una delle tappe del tour di Pompeo, assieme a Sudan e, appunto, Emirati. Re Hamad, si dice, a Manama comunicherà a Pompeo la sua decisione definitiva sui tempi della normalizzazione con Israele. E altrettanto forse farà il Sudan dove si è recato il capo del Mossad, Yossi Cohen, il vero artefice dell’accordo tra Emirati e Israele.