Il giornale Israel HaYom scrive che la Giordania avrebbe accettato la presenza di osservatori sauditi all’interno del Waqf islamico pur di fermare i progetti turchi sulla Spianata. I vertici del Waqf non confermano
di Michele Giorgio il Manifesto
Gerusalemme, 3 giugno 2020, Nena News – Lo scontro tra la Turchia e la “Nato araba” guidata dall’Arabia saudita, in corso in Libia e nel Corno d’Africa coinvolge ora anche Gerusalemme e la sua Spianata delle moschee. E vede in primo piano il governo israeliano interessato a contrastare Ankara, ad oscurare qualsiasi ruolo istituzionale palestinese nella città santa e a stringere i rapporti strategici con Riyadh. Ieri, poche ore dopo la riapertura delle moschee di Al Aqsa e della Roccia, chiuse da settimane a causa del coronavirus, il quotidiano di destra Israel HaYom, il più diffuso in Israele, vicino al premier Netanyahu, ha rivelato che negoziatori dello Stato ebraico e dell’Arabia saudita dallo scorso dicembre sono impegnati in colloqui segreti, con la mediazione americana, allo scopo di includere «osservatori» sauditi nel Consiglio del Waqf, la fondazione che cura e amministra i beni e le proprietà islamiche a Gerusalemme, a cominciare dalla Spianata delle moschee.
L’obiettivo, ha spiegato il giornale, è quello di paralizzare le attività e i progetti avviati a Gerusalemme Est dal presidente turco Erdogan, avversario di Riyadh e degli altri paesi che compongono la “Nato araba” (Emirati, Egitto e Bahrain). E la Giordania, custode della Spianata delle moschee, avrebbe accettato il coinvolgimento dei sauditi pur di tenere la Turchia lontano da Gerusalemme.
«Sono colloqui delicati e clandestini, condotti da piccoli team di diplomatici e funzionari di Israele, Stati uniti e Arabia saudita», ha spiegato a Israel HaYom un anonimo funzionario saudita, sottolineando la nuova posizione adottata dalla Giordania. A persuadere il regno hashemita a rimuovere il suo veto alla presenza saudita sarebbe stato il «comportamento» dei rappresentanti palestinesi entrati, con l’approvazione di Amman, nel Consiglio del Waqf in risposta alla decisione di Israele di installare, tre anni fa, metal detector sulla Spianata delle Moschee e agli incidenti tra polizia israeliana e fedeli musulmani lo scorso anno alla Porta della Misericordia. Secondo il giornale israeliano, sarebbero stati i palestinesi ad aprire la strada di Erdogan verso il sito religioso – terzo luogo santo dell’Islam (il Monte del Tempio per gli ebrei) – con progetti per decine di milioni di dollari affidati a ong turche. E la Giordania per fermare i turchi ha rinunciato alla gestione esclusiva della Spianata in cambio di generose donazioni saudite per il Waqf di Gerusalemme.
Dal Waqf non abbiamo ottenuto un commento ufficiale ma fonti palestinesi ci hanno fatto sapere che lo sceicco Azzam al Khatib, direttore generale della fondazione, definisce l’articolo del giornale israeliano privo di fondamento e nega il via libera giordano ai sauditi. Occorre considerare che Israel HaYom è una sorta di megafono di Benyamin Netanyahu e potrebbe aver amplificato la notizia a sostegno delle affermazioni del primo ministro riguardo i rapporti che Israele starebbe stringendo con una parte del mondo arabo islamico. Il giornale ha aggiunto che Israele e Stati uniti cercano il sostegno saudita al piano Trump e al progetto di annessione allo Stato ebraico di larghe porzioni di Cisgiordania palestinese, perché Riyadh «porta con sé il sostegno degli Emirati e del Bahrein». Proprio ieri il ministro della difesa israeliano Benny Gantz ha dato ordine al capo di stato maggiore Aviv Kochavi di prepararsi alla attuazione del piano di annessione.
L’Arabia saudita a febbraio aveva ribadito attraverso il ministero degli esteri che «il miglioramento delle relazioni con Israele avverrà solo quando verrà firmato un accordo di pace conforme alle condizioni palestinesi». In realtà Riyadh e i paesi suoi alleati dietro le quinte hanno stabilito con Tel Aviv un’alleanza strategica, contro l’Iran e la Turchia di Erdogan. Non è un mistero che, in Nordafrica, il generale e uomo forte di Bengasi, Khalifa Haftar, riceva dagli Emirati sostegno finanziario e militare nella lotta contro il governo del premier Fayez el Sarraj a Tripoli sostenuto e armato da Erdogan.
Nelle scorse settimane sono circolate voci sull’impiego da parte delle forze di Haftar di armi di fabbricazione israeliana per abbattere i droni turchi usati dai miliziani agli ordini di el Sarraj per riconquistare il territorio perduto lo scorso anno. Il portale d’informazione sul Medio oriente, al Monitor, riferisce che l’Egitto ha messo in piedi nel Mediterraneo una sorta di «Santa Alleanza» assieme a Grecia, Cipro, Emirati e Francia per contrastare le mosse turche nel Mediterraneo, in particolare le ricerche di giacimenti di gas. Nena News