Per il 25esimo anniversario del crollo del muro che divise Berlino per 30 anni, gli attivisti palestinesi hanno aperto un varco nella barriera costruita da Israele e hanno lanciato un appello a resistere all’occupazione
della redazione
Roma, 10 novembre 2014, Nena News – I muri sono destinati a crollare. È questo il messaggio che un gruppo di giovani attivisti palestinesi ha voluto lanciare sabato scorso, nel 25esimo anniversario della caduta del muro di Berlino, aprendo una breccia nella porzione di barriera costruita da Israele che passa per i villaggi a nord-ovest di Gerusalemme.
Un varco dal valore simbolico, più che pratico, per denunciare ancora una volta la costruzione del muro dell’apartheid, come lo chiamano i palestinesi. Una barriera tirata su da Tel Aviv negli ultimi otto anni per ragioni di sicurezza, ma giudicata illegale dalla Corte internazionale di giustizia, poiché attraversa ed entra nei Territori occupati della Cisgiordania. Secondo il tribunale dell’Onu, è anche uno strumento di annessione dei territori palestinesi, in piena violazione del diritto internazionale. Infatti, per costruire questo muro che separa i villaggi dalle terre coltivabili, che divide le comunità e le famiglie, sono state regolarmente confiscate terre dei palestinesi. Si stima che quando l’opera sarà terminata, l’85 per cento di essa sarà stato costruito all’interno della Cisgiordania.
L’opera è imponente, in paragone al muro che ha diviso Berlino per trent’anni. In diversi tratti, infatti, è alta il doppio ed è lunga sei volte di più. È una barriera che taglia fuori i palestinesi dalle proprie terre e da Gerusalemme, tornata nelle ultime settimane a essere teatro di scontri e attentati.
Per gli attivisti che hanno aperto la breccia nel muro, non ha importanza quanto alto esso sia, prima o poi crollerà e, ad ogni modo, non potrà impedire ai palestinesi di raggiungere Gerusalemme e la moschea di Al Aqsa. Così il 25esimo anniversario della caduta del muro di Berlino è stato l’occasione per lanciare un appello a difendere la Città Santa e la Cisgiordania dai piani di annessone israeliani.
I negoziati di pace sono falliti lo scorso aprile e vengono continuamente evocati, senza però che si facciano passi concreti per riaprire la trattativa. Al contrario, dopo l’attacco a Gaza, Tel Aviv ha proseguito con la politica degli insediamenti, nonostante la condanna internazionale, e con iniziative legislative tutt’altro che concilianti. Di recente il governo ha innalzato fino a venti anni le pene detentive per il lancio di pietre contro le forze dell’ordine israeliane. Nelle ultime settimane decine di palestinesi sono finiti in manette in seguito agli scontri scatenati dalle “passeggiate” degli ultranazionalisti ebrei sulla Spianata. Una provocazione continua che sta facendo salire la tensione alle stelle a Gerusalemme, teatro di due attentati da parte di palestinesi.
La cosiddetta comunità internazionale continua a chiedere una soluzione a due Stati, ma nei fatti e nelle intenzioni israeliane non sembra questa la strada percorribile. Un ritiro delle truppe israeliane dai Territori occupati non è in agenda e la costruzione del muro procede spedita, come continuano le manifestazioni dei comitati popolari palestinesi lungo il suo percorso. Gli attivisti sono convinti che prima o poi la barriera sarà abbattuta, assieme all’occupazione israeliana. “Non importa quanto sia alto il muro, crollerà, proprio come è accaduto a Berlino”, si legge in un comunicato. Nena News