Finito lo sciopero di oltre due mesi dei dipendenti dell’agenzia Onu in Cisgiordania, i 19 campi profughi tornano alla normalità. Ma non ci sarà un aumento di stipendio.
- Il campo di Dheisha (Foto: Rossana Zampini/Nena News)
di Chiara Cruciati
Betlemme, 8 febbraio 2014, Nena News – Dopo due mesi di sciopero, i lavoratori palestinesi dell’UNRWA hanno trovato un accordo con l’agenzia delle Nazioni Unite che dalla Nakba si occupa di fornire servizi educativi, sanitari e ambientali alla popolazione rifugiata palestinese in oltre 50 campi in tutto il Medio Oriente.
A vestire l’abito del negoziatore è stata l’Autorità Palestinese, preoccupata per le condizioni in cui da oltre 60 giorni versavano i 19 campi profughi della Cisgiordania: lezioni scolastiche sospese, rifiuti che hanno invaso le strade, cure mediche quasi inesistenti.
Giovedì il premier palestinese Rami Hamdallah ha annunciato il raggiungimento dell’accordo tra le due parti, lavoratori e amministrazione: per ora non è dato sapere il contenuto della “tregua”, che dovrebbe essere pubblicamente ufficializzato nel fine settimana. Il portavoce del sindacato dei dipendenti dell’UNRWA, Farid al-Masmi, si è limitato a dire che l’accordo “assicurerà molti benefici ai lavoratori”. Tra i risultati ottenuti, non sarebbe però compreso l’aumento salariale chiesto a gran voce dagli scioperanti.
In ogni caso da oggi riprenderanno le normali attività: le scuole riapriranno i battenti, i rifiuti saranno raccolti dalle strade e le cliniche forniranno di nuovo i servizi medici sospesi due mesi fa. La decisione degli oltre 30mila dipendenti dell’UNRWA in Cisgiordania di incrociare le braccia per 65 giorni ha avuto effetti visibili e drammatici.
Visitiamo uno dei campi profughi di Betlemme, Dheisha: sacchi di rifiuti hanno invaso le strade, arrivando ad occupare una delle corsie della strada principale, che conduce al centro di Betlemme. Un ammasso di immondizia putrefatta, dall’odore insopportabile, seria minaccia alla salute della comunità profuga. In strada, tanti i bambini che giocavano in orario scolastico, mentre nella piccola tenda innalzata all’ingresso di Dheisha un picchetto di lavoratori ricordava all’UNRWA e al campo profughi i tanti perché di uno sciopero lungo due mesi.
A monte la crisi finanziaria che sta travolgendo l’agenzia Onu da mesi: un deficit di oltre 26 milioni di euro, dovuto al calo drastico delle donazioni volontarie degli Stati membri delle Nazioni Unite, i veri finanziatori dell’UNRWA e delle sue attività. A novembre il sottosegretario generale delle Nazioni Unite per le questioni politiche, Jeffrey Feltman, aveva lanciato l’allarme e annunciato la sospensione degli stipendi nel mese di dicembre: “L’UNRWA è finanziata quasi completamente dai governi attraverso contributi volontari – ci spiega Filippo Grandi, commissario generale dell’agenzia per i rifugiati palestinesi – Il Segretariato Generale versa solo il 2% del bilancio complessivo. Per questo siamo in dialogo costante con i donatori perché aumentino i contributi volontari”.
Contributi o meno, i lavoratori palestinesi dei 19 campi in Cisgiordania, tra infermieri, operatori sanitari, insegnanti e netturbini, hanno deciso di prendere l’iniziativa. Con quattro obiettivi, come ci spiegano i manifestanti dalla piccola tenda di protesta di Dheisha: prima di tutto la riassunzione di 53 lavoratori licenziati dopo 13 anni di servizio. Secondo l’UNRWA, i loro contratti di lavoro erano terminati, ma i manifestanti sembrano crederci poco. Seconda richiesta, la cancellazione di una direttiva che vieterebbe all’agenzia di assumere persone che hanno avuto precedenti con le autorità israeliane, un’eventualità non certo rara per un popolo sotto occupazione militare. Su questo punto aveva risposto lo stesso Filippo Grandi: “Non esiste alcuna direttiva simile. Solamente ai dipendenti che commettono atti contrari alle regole dell’ONU vengono imposte misure disciplinari, ma la determinazione di tali fatti è fatta dall’UNRWA e non dal governo israeliano”.
Terza richiesta, su cui i lavoratori di Dheisha puntano con forza, l’eguaglianza di salario tra Gaza e Cisgiordania. E quindi un aumento salariale: lo stipendio medio dei dipendenti UNRWA di Gaza è del 9% maggiore di quello in Cisgiordania, ci spiegano gli scioperanti, sottolineando le difficoltà di vivere in un Paese su cui pesa l’inflazione israeliana. Prezzi simili tra Israele e Cisgiordania, ma un salario medio che è un quinto di quello israeliano.
L’UNRWA ha da subito messo le mani avanti: “I dipendenti non si qualificano per un aumento salariale”, continua Grandi, sottolineando che i dipendenti dell’agenzia godono di stipendi del 20% superiori a quelli dei dipendenti pubblici dell’Autorità Palestinese, a parità di mansioni.
Infine, la ripresa del programma Job Creation, con il quale l’UNRWA forniva ai rifugiati un servizio simile al centro per l’impiego.
Oggi i campi potrebbero tornare alla normalità, dopo un lungo braccio di ferro che ha visto 30 dipendenti dell’UNRWA in sciopero della fame per un mese. I lavoratori, dalla loro tenda di Dheisha, ci salutano ricordando il sostegno che il campo ha sempre dimostrato verso una protesta che ha reso la vita quotidiana dei profughi palestinesi più difficile del solito. Nena News