‘O cane mozzeca sempe ‘o stracciato: è la Federcalcio palestinese, sotto occupazione, a essere punita per “istigazione alla violenza”. Ma nessun intervento sulle squadre delle colonie
di Flavia Lepre
Roma, 28 agosto 2018, Nena News – La Federazione Palestinese di Calcio, sotto occupazione israeliana, dopo aver per anni cercato di ottenere sostegno e giustizia da parte dell’istituzione mondiale del calcio, ne viene penalizzata ufficialmente, con la sospensione per un anno del suo presidente.
Un detto napoletano che condensa secoli di esperienza popolare sembra attagliarsi particolarmente alle vicende calcistiche palestinesi: “ ‘o cane mozzeca sempe ‘o stracciato”, alla lettera “ il cane morde sempre il cencioso”. Sciogliendo la metafora: la sorte si accanisce contro chi è più bisognoso, debole e già provato dalle avversità.
Il 24 agosto Rajoub, presidente della Pfa e principale attore delle rivendicazioni palestinesi alla Ffifa è stato da questa sospeso per un anno. Le motivazioni potrebbero apparire un po’ forzate. La decisione è stata presa dalla Commissione Disciplinare, che ha considerato “istigazione all’odio e alla violenza” le parole di Rajoub “Se Messi dovesse giocare contro Israele, chiederemo a tutti i tifosi palestinesi di Messi di bruciare le sue magliette, le sue foto e di abbandonarlo”, riferisce Il posticipo, su GAZZANet
E prosegue: “Alla fine non ce n’è stato bisogno, perché le polemiche (a livello sportivo e politico) internazionali, ma soprattutto le minacce alla sicurezza della squadra all’epoca di Sampaoli, hanno poi fatto sì che la partita non si giocasse.” Il presidente della Pfa annuncia che farà appello. Se l’appello non fosse accolto o non lo fosse in tempo (poiché pare che la lentezza estrema contraddistingua tutte le azioni messe in atto dalla Pfa o a suo sostegno), anche il massimo campionato asiatico non vedrebbe la presenza del presidente della squadra palestinese alle competizioni in cui è impegnata.
“La Federcalcio israeliana ha quindi annunciato di aver denunciato alla Fifa la sua controparte palestinese per la cancellazione del match. “Abbiamo a che fare con un atto di terrorismo calcistico da parte della Federazione calcistica palestinese e del suo presidente”, riferiva Il fatto quotidiano il 6 giugno e, nel catenaccio, ricordava: “Il match era stato inizialmente programmato a Haifa, zona a forte presenza araba, poi si è deciso di spostarla nella capitale contesa. Da qui le proteste dei palestinesi, fra cui quella del presidente della Federcalcio Jibril Rajoub, che ha accusato il governo di aver dato valore politico alla partita”.
La Fifa che sanziona il presidente della Federazione Palestinese con una decisione che converge con le richieste israeliane è quella stessa contro cui il medesimo presidente ha presentato appello il 13 giugno 2017 per aver impedito di votare la mozione da lui presentata al Congresso di maggio 2017 con cui chiedeva l’esclusione dalle competizioni Fifa delle squadre israeliane di sei colonie israeliane su territorio palestinese occupato, sostituita d’imperio con una proposta di Infantino che dava tempo al Consiglio fino a marzo 2018 per studiare e valutare il rapporto del Comitato di Monitoraggio Israele-Palestina. Quest’ultimo redatto dal Presidente del Comitato Sexwale, che aveva incontrato numerosi ostacoli per il suo completamento. La mossa sconcertante è stata portata alla Corte di Arbitraggio Sportivo da parte del numero uno della Pfa.
La Caa avrebbe dovuto ascoltare Rajoub il 27 novembre 2017, ma in quella data rinviò l’udienza prima a data da definirsi e poi al martedì 6 marzo 2018. La sentenza sarebbe stata emessa entro settimane. Non è ancora arrivata. Intanto, le lentezze esagerate anche della Corte di Arbitraggio dello Sport hanno impedito ai palestinesi di presentare una eventuale mozione supportata da sentenza di arbitrato nel Congresso Fifa del 13 giugno 2018 a Mosca.
Dal 2015 la Federazione Palestinese di Calcio aveva sollevato presso l’organo di governo mondiale del calcio il problema dell’impossibilità di condurre regolari allenamenti, campionato nazionale e competizioni internazionali a causa delle limitazioni di movimento imposte dall’occupazione israeliana agli sportivi ed alle attrezzature. Riuscì ad ottenere quell’anno nel 65° Congresso della Fifa l’istituzione di una Commissione di monitoraggio in cui erano presenti le due parti, presieduta dal sudafricano Tokyo Sexwale.
Pur migliorando un po’ la situazione, nei due anni di attività non riuscì a raggiungere risultati veri, secondo i palestinesi per la subordinazione indiscussa delle Federazione Israeliana alle autorità militari e politiche israeliane e alle misure da esse adottate sulla popolazione sotto occupazione. La contestuale denuncia di sei squadre israeliane che risiedevano in colonie su territorio palestinese occupato da Israele, come tali illegali per il diritto internazionale, ricevette la salomonica decisione del presidente Blatter di rivolgersi all’Onu per sapere se effettivamente ci fosse la violazione internazionale denunciata.
La Fifa attraversava un periodo difficile, dal quale riemerse con una politica di “moralizzazione” e nel Congresso straordinario di febbraio 2016 a Blatter è succeduto Gianni Infantino. Si sarebbe potuto ipotizzare che la questione delle squadre delle colonie sarebbe stata risolta con un salto a pié pari. Infatti, da Segretario Generale della Uefa questi aveva brillantemente risolto analoga faccenda nel 2014, quella di tre squadre della Crimea inserite nel campionato russo dopo l’annessione russa della penisola.
Senza lasciarsi fuorviare da dubbi o ragionamenti, taluni sostenevano che lì la popolazione è prevalentemente russa e un referendum controverso ha poi confermato l’annessione, Infantino le escluse dalla Uefa. “La Uefa ha motivato la decisione con il fatto che la partecipazione di ciascuna squadra in un dato campionato deve avvenire «all’interno di un contesto di legalità» e «rispettando i termini dello Statuto UEFA»”, riportava il Post.
Ma alla Fifa si è più incerti e problematici su ciò che sia “legalità”. Infatti, il Consiglio al termine di ottobre 2017 ha poi rigettato la richiesta palestinese, asserendo che “il Consiglio della Fifa prende nota dei documenti adottati dagli organismi di governo internazionale sulla relazione tra Israele e Palestina- come la Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che comprende raccomandazioni senza sanzioni- ma ha anche deciso che non prenderà alcuna posizione sulla questione“.
In perfetta incoerenza, che dire farisaico o gesuitico bizantinismo sarebbe poco, il Comitato Fifa avendo affermato che “lo stato finale dei territori della Cisgiordania è materia di competenza delle autorità di diritto pubblico internazionale” asserisce che “non sanzionerà alcuno dei due (…) fino a che non sarà cambiato il contesto legale e/o di fatto”!
Che vuol dire finché non cambi il conteso “di fatto”? Finché non avrà avuto successo la politica dei dati di fatto di annessione? E dove risiederebbe la legalità? O si suggerisce che il Consiglio sia stato sottoposto ad indicibili pressioni perché non fosse conseguente nel suo sbandierato uniformarsi alla legalità ed attende di liberarsene?
La Cas, in un contenzioso che dal 2015 aveva impegnato un club belga sul problema del trasporto dei giocatori, ha risposto al club belga che le contestava di dipendere economicamente dalla Fifa e di non poterne essere davvero autonoma, asserendo la propria indipendenza dalla Federazione mondiale, che per altro è solo per il 9% delle sue entrate una delle sue fonti finanziarie (e con il Coi per il 56%): la Cas non è la loro “lunga mano”.
La vicenda con il club belga si concluse nell’aprile 2018 anche con la formazione di un nuovo organismo: “Football Stakeholders Committee” per una nuova regolamentazione del trasporto. Quella di una Commissione è una via già percorsa per gli impedimenti e le violazioni contro lo sport dei palestinesi. Speriamo che la Cas non stia attendendo, come il Consiglio Fifa, che cambi il quadro legale o di fatto! Nena News