La causa palestinese oggi è in qualche modo tornata agli anni precedenti la guerra dei sei giorni. Per questo vale la pena individuare quella traiettoria per capire come si è raggiunta l’attuale situazione e definirne i possibili sviluppi. Seconda parte dell’analisi di al-Shabaka
di Nadia Hijab e Mouin Rabbani – Al Shabaka
Ramallah, 28 giugno 2017, Nena News – (prima parte qui)
In un certo qual modo la situazione di oggi rispecchia quella precedente al 1967. Il movimento nazionale palestinese unito che dominò dagli anni Sessanta agli anni Novanta si è disintegrato, forse per sempre. Dilaga la divisione tra Fatah e Hamas, con l’ultima che insieme alla Jihad Islamica è esclusa dall’Olp, così come le divisioni interne a Fatah e all’Olp.
I palestinesi di Gaza soffrono orrendamente sotto un assedio israeliano che dura da un decennio e che peggiora a causa delle pressioni dell’Autorità Nazionale Palestinese e di Israele su Hamas. I palestinesi nei campi profughi in Siria e Libano soffrono ancora di più a causa della guerra civile in Siria e per la precedente frammentazione dell’Iraq, così come per i conflitti interni tra i vari gruppi nei campi.
E Israele dal 1967 si è trasformato da Stato regionale a potere regionale. È impaziente di normalizzare le relazioni con l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo, usando l’Iran come spauracchio per nutrice questo rapporto. In cambio vuole usare quest’alleanza per imporre un accordo ai palestinesi che perpetui il dominio israeliano, raggiungendo un trattato di pace finale che gli permetta di mantenere le colonie e il controllo militare su tutti i Territori e di continuare a colonizzare.
Ma continuano ad esserci ostacoli sul percorso israeliano per legittimare l’occupazione, che mantengono aperta la porta per un movimento palestinese e una strategia che garantisca diritti e giustizia. Non è un elemento da poco che, in mezzo secolo, nessuno Stato abbia riconosciuto come legittima l’occupazione israeliana del territorio palestinese e di quello siriano.
Se i governi europei, ad esempio, temono che farlo metterebbe in pericolo le relazioni con gli altri Stati della regione, sono anche i più impegnati nel ribadire la necessità del diritto internazionale; i ricordi della prima e della seconda guerra mondiale non sono stati rimossi. Per questo non possono riconoscere l’occupazione israeliana anche se hanno fallito nello sfidare Israele nello stesso modo in cui hanno affrontato l’occupazione russa della Crimea.
Inoltre, l’elezione di Donald Trump alla presidenza Usa subito dopo la Brexit accelera la determinazione della Ue a consolidare il proprio potere economico e politico e la dipendenza dalla protezione Usa. Questo offre un’opportunità ai palestinesi di sostenere modeste misure europee (come il divieto a finanziare enti di ricerca israeliani nei Territori Occupati e l’etichettatura dei prodotti degli insediamenti) e di fare pressioni per una differenziazione tra Israele e la sua impresa coloniale secondo il linguaggio usato per la risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza Onu del dicembre 2016.
Israele incontra anche resistenza in luoghi inaspettati. Mentre il movimento nazionale palestinese si indebolisce, quello globale di solidarietà con la Palestina, inclusa la campagna Bds (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) lanciata nel 2005, è cresciuto rapidamente soprattutto sull’onda dei ripetuti assalti israeliani contro la Striscia di Gaza.
Questo è in contrasto con la situazione degli anni Settanta e Ottanta quando le opinioni pubbliche occidentali tendevano ad essere sostenitrici di Israele. Israele attacca con ferocia il movimento fondendo le critiche a Israele con l’antisemitismo e spingendo verso leggi negli Usa e in Europa che vietino iniziative di boicottaggio. Tuttavia non è riuscito a far tacere il dibattito o a impedire a chiese e gruppi studenteschi negli Stati Uniti di organizzare iniziative di solidarietà con il popolo palestinese.
La reazione israeliana è resa più debole anche come risultato di una terza tendenza che è interamente nelle sue mani. Il fatto che sia in grado di violare il diritto internazionale senza alcun ostacolo mentre occupa i Territori palestinesi e discrimina i suoi stessi cittadini palestinesi sta andando troppo oltre. Anche la determinazione di Trump a “trovare un accordo” che di sicuro consegnerebbe a Israele vaste porzioni di terre palestinese e il controllo militare permanente probabilmente si scontrerà con il crescente movimento di destra che rigetta qualsiasi tipo di concessione ai palestinesi.
Infatti la crescita di quelle che possono essere descritte solo come leggi razziste sta svelando non solo gli atti presenti ma anche quelli pre e post 1948. Ad esempio, per nominare solo alcune, le leggi sulla cittadinanza e la famiglia, rinnovata ogni anno dal 2003, nega ai palestinesi cittadini israeliani il diritto di sposare palestinesi dei Territori e di altri paesi; la continua distruzione dei villaggi palestinesi all’interno di Israele come in Cisgiordania; e la legge che legalizza retroattivamente il furto di terre private palestinesi in Cisgiordania. Tutto ciò rende impossibile fingere che Israele condivida i valori universali o “occidentali”, come lo Stato di diritto e l’uguaglianza.
Un buon indicatore dell’impatto di questa esposizione è il crescente numero di ebrei non israeliane che si sentono separati da Israele, comprese organizzazioni come Jewish Voice for Peace. Quando parlano, le accuse pro forma di antisemitismo sono facilmente allontanate permettendogli allo stesso tempo di rafforzare posizioni simili alle loro.
Un altro ambito in cui Israele sta perdendo terreno è nel garantirsi sostegno di parte. Se il partito repubblicano assicura che non si sono distanze con Israele, l’opinione interna al partito democratico si sta spostando verso i diritti dei palestinesi e sempre più rappresentanti democratici stanno lentamente cominciando a dare voce a questo spostamento.
Queste tendenze di lungo periodo che operano contro le violazioni di Israele del diritto internazionale non possono da sole garantire i diritti palestinesi. Il passaggio dalla custodia araba sulla questione della Palestina alla custodia palestinese ha portato alla fine al disastro di Oslo. Quello che serve è una formula che combini la mobilitazione palestinese in casa e fuori con una strategia araba per l’autodeterminazione.
E, nonostante gli sforzi di riformare l’Olp in un reale rappresentante nazionale siano falliti, ci sono modi di fare pressioni su parti dell’Olp ancora funzionanti – ad esempio nei paesi dove alcuni segmenti di rappresentanza diplomatica palestinese esistono – attraverso la ripresa di un’agenda e di una strategia nazionale.
I palestinesi oggi sono senza dubbio nella meno invidiabile posizione dal 1948. Ma se mobiliteranno le risorse a loro disposizione – prima di tutto del loro stesso popolo e della crescente riserva di sostegno globale – potranno formulare e implementare con successo una strategia per conduca al loro posto al sole.
Traduzione a cura della redazione