I frenetici tentativi di fermare l’annessione restano impantanati nei sogni dei sionisti liberali che fanno funzionare egregiamente da decenni l’occupazione militare dei territori palestinesi
Yousef Munayyer – +972 Magazine
(Traduzione di Elena Bellini)
Roma, 10 luglio 2020, Nena News – Il mese scorso, mentre il nuovo governo israeliano prestava giuramento, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato davanti alla Knesset che è tempo di “scrivere un altro glorioso capitolo nella storia del Sionismo”, con l’annessione formale di più territori della Cisgiordania occupata.
A poco più di una settimana dal 1 luglio – data in cui in governo aveva promesso di avviare la promozione della legge per l’applicazione della “sovranità ebraica” sugli insediamenti – varie personalità e organizzazioni sioniste, in Israele e all’estero, erano già impegnate al massimo per prevenire la nuova mossa di annessione.
Tuttavia, tra i sionisti liberali, quasi nessuno riconosce che la nascita di questo “nuovo capitolo” si deve soprattutto alla loro posizione. Durante le tre tornate elettorali israeliane nell’ultimo anno e mezzo, numerosi osservatori della corrente sionista liberale hanno riposto le proprie speranze nei partiti di opposizione in corsa contro la coalizione di destra guidata da Netanyahu.
Il principale tra questi partiti è stato il Bianco Blu di Benny Gantz, attuale Ministro della Difesa. Alcuni liberali pensavano che, se Gantz fosse riuscito a spodestare Netanyahu dal trono, avrebbe potuto fermare l’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, mantenendo vivo, in questo modo, il sogno della soluzione dei due Stati.
Questa speranza, da sempre mal riposta, a volte rasenta la follia. Lo stesso Gantz ha apertamente appoggiato l’annessione della Valle del Giordano, promettendo, durante la sua campagna elettorale, che “vada come vada, noi ci prenderemo questo territorio. Cercheremo di rafforzarlo il più possibile con un piano nazionale di sostegno agli insediamenti in questa zona”.
Nonostante queste chiarissime dichiarazioni, i sionisti liberali – forse per angoscia o disperazione – hanno comunque trovato il modo di giustificare il proprio sostegno a Gantz, spesso auto-convincendosi che non avrebbe permesso di mettere in pratica un piano così pericoloso. Ora quell’uomo, che hanno sostenuto come sfidante contro i piani di annessione della destra, è diventato un collaboratore attivo di quei piani.
Questo disgustoso giro d’onore dei leader israeliani dovrebbe rendere impossibile, per il mondo, far finta che esista ancora un piano di partizione possibile con i palestinesi. Contrariamente a quanto sostiene la narrazione popolare, l’annessione non ucciderà la soluzione dei due Stati: non si può uccidere qualcosa che è già morto da tempo. Piuttosto, l’annessione ne sta trascinando il cadavere, esponendolo agli occhi del mondo.
La realtà è che l’annessione de facto – come evidenziato 16 anni fa dal parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia sul muro di separazione – già esiste, grazie soprattutto ai governi sionisti liberali che hanno creato e mantenuto l’occupazione fin dal 1967. L’annessione de jure è una semplice formalizzazione dello status quo. Ciò significa anche che, per i palestinesi che vivono sotto il dominio israeliano, con l’annessione non cambia nulla: sono lontani quanto prima dal vedere riconosciuti i propri diritti.
Ecco perché l’annessione è così pericolosa per i sionisti liberali: renderebbe la loro posizione ideologica, già contraddittoria e indifendibile, ancora più difficile da sostenere.
Nelle ultime settimane, molte voci si sono levate contro l’annessione, dall’Europa ai Democratici USA, ai leader arabi. Ma queste voci, anche se si stanno facendo sempre più forti, si basano sempre sulla stessa motivazione errata – diffusa per anni da rappresentanti e gruppi del sionismo liberale – che ha contribuito a farci arrivare a questo punto.
Un elemento di questa motivazione errata è il porre al centro di tutto la preoccupazione per la sicurezza di Israele. Questo discorso è portato avanti dai sionisti liberali, secondo cui sfidare la destra israeliana sul piano della sicurezza è l’unico modo di avere credibilità, ma è ripreso anche dai leader arabi che lanciano l’allarme sull’instabilità regionale o sulla fine della normalizzazione con Israele.
Il rischio dell’approccio della “sicurezza israeliana” è triplice. Primo: tale approccio è incentrato sulla sicurezza dei carnefici, e non delle vittime delle loro politiche. Secondo: rafforza la nozione secondo cui i palestinesi sono in quanto tali un pericolo per Israele. Terzo, tenta di smentire le motivazioni di sicurezza della destra, cosa per la quale ai liberali spesso manca la credibilità necessaria (e non importa quanti siano gli ex generali israeliani ai quali riescono a far firmare le lettere aperte). Perciò, questa strategia non solo non riesce a convincere la destra israeliana, ma anzi, di fatto la incoraggia, visto che i timori del mondo per la sicurezza (di Israele, ndt.) sono del tutto infondati.
Tuttavia, c’è stato un tempo in cui i sionisti liberali avvertivano che nuovi insediamenti avrebbero distrutto la soluzione dei due Stati. C’è stato un tempo in cui li sentivamo dire che lo status quo era insostenibile. C’è stato un tempo in cui sostenevano che dichiarare Gerusalemme capitale di Israele avrebbe sepolto le possibilità di una soluzione negoziata.
Eppure, superati tutti questi e molti altri punti fermi, i sionisti liberali si sono ostinati a tenere viva la soluzione dei due Stati, invogliando la destra a mirare ancor più in alto e a sfruttare quel sogno a proprio vantaggio. A prova di questo, basta dare un’occhiata all’editoriale di Ron Dermer – ambasciatore di Netanyahu negli USA – sul Washington Post, che usa la soluzione dei due Stati per argomentare a favore dell’annessione israeliana della Cisgiordania, dicendo che questa “spianerà la strada ad una soluzione dei due Stati che sia davvero fattibile”.
Ma se invece l’annessione – che appare oggi più ineluttabile e politicamente fattibile che mai – non ci fosse? Cosa succederebbe se Netanyahu non riuscisse ad ottenere abbastanza voti per il suo piano? O se l’annessione non includesse l’intera Area C? Cosa succederebbe se, in qualche modo, Washington dicesse di lasciar perdere?
Questi scenari sarebbero motivo di gaudio per molti sionisti liberali e per i loro sostenitori, che potrebbero affermare, in modo falso e pericoloso, che la speranza di partizione è ancora viva. Nel farlo, non renderebbero la vita più facile ai palestinesi, che sono le principali vittime della politica israeliana; la renderebbero più facile a se stessi, rinviando a data da destinarsi quell’esame di coscienza che sarebbe invece necessario da tempo.
Volente o nolente, il sionismo liberale è da sempre un complice fondamentale dei successi della destra. Oggi è l’olio che fa funzionare senza intoppi la macchina dell’espansionismo israeliano. Vi ricordate quando l’obiettivo era “porre fine all’occupazione”? Ora si è trasformato in “fermare l’annessione”. E sbaglia chi pensa che l’annessione sia la collina sulla quale il sionismo liberale morirà. Si sposterà semplicemente sul crinale successivo. Nena News