«Il riconoscimento della Città Santa come capitale dello stato ebraico rappresenta quel tentativo di superare in maniera definitiva la dimensione coloniale d’Israele agli occhi della comunità internazionale. Gli attuali sviluppi rappresentano la logica conseguenza del fallimentare processo di pace», scrive Anna Maria Brancato
di Anna Maria Brancato
Roma, 18 dicembre 2017, Nena News – Ciò che sta avvenendo in Palestina richiederebbe, oggi più che mai, un approfondito sguardo storico per fare luce sugli eventi che, già da prima del 1948, hanno caratterizzato una delle aree più calde e discusse a livello globale.
Senza entrare nel dettaglio delle tappe che dalla nascita del sionismo, alla Nakba del 1948 o alla Guerra dei Sei Giorni del 1967 hanno lasciato sostanzialmente appeso lo status di Gerusalemme, credo sia necessario soffermarsi e riflettere sui termini maggiormente utilizzati in questi giorni, i quali danno la misura di quanto storicamente ingiusta e pericolosa sia la decisione americana di riconoscere Gerusalemme come capitale dello stato ebraico israeliano. Che Gerusalemme venga considerata palestinese o israeliana (dunque ebraica per definizione dal momento che nella stessa dichiarazione di indipendenza israeliana lo stato di Israele è definito ebraico) non è, infatti, solo una questione di attributi.
Gli attuali sviluppi rappresentano la logica conseguenza del fallimentare processo di pace, il cui vero obiettivo non è mai stato quello di ripristinare la giustizia in Palestina, quanto quello di consolidare un sistema che ha permesso a una iniziale minoranza di origine europea di ottenere, mantenere e rafforzare un dominio egemonico sulla maggioranza araba palestinese presente in Palestina.
Il sistema in questione è definito oggi da molti come sistema coloniale di insediamento che per definizione prende l’avvio da un gruppo di coloni europei che si spostano oltremare e sono interessati a impossessarsi di sempre maggiori quantità di terra (elemento fondamentale per la costruzione di un nuovo insediamento). Tale sistema ha due obiettivi principali: l’eliminazione della popolazione nativa (in vari modi, non solo fisici quanto anche teorici e discorsivi) e il superamento dello status coloniale ai fini del raggiungimento di un pieno riconoscimento come entità statale legale.
Nei fatti, la spinta ideologica sionista, che già a fine ‘800 aveva iniziato a spronare la comunità ebraica europea affinché si unisse per compiere il tanto anelato Ritorno a Sion (o Gerusalemme), aveva come fine principale la (ri?)costruzione di uno stato totalmente ebraico, all’interno del quale la presenza araba fosse ridotta ai minimi termini (se non inesistente) e in cui la popolazione ebraica potesse vivere lontana dalle minacce e dai pericoli che aveva dovuto affrontare nel corso dei secoli precedenti.
L’eliminazione fisica della popolazione palestinese è passata prima di tutto attraverso la Nakba (l’espulsione dei palestinesi avvenuta prima e durante il 1948 a causa della creazione dello stato di Israele); ma quello non è stato l’unico momento: la Guerra del 1967 (o Naksa) che ha visto l’occupazione da parte israeliana della stessa Gerusalemme Est, della Cisgiordania e di Gaza; prosegue ogni giorno con le continue demolizioni, gli arresti arbitrari, gli attacchi indiscriminati dell’esercito israeliano sulla popolazione palestinese. Ed è anche questa continuità e persistenza che spinge alcuni studiosi a parlare del sistema coloniale in questione come di una struttura più complessa e non un unico evento.
Ma l’eliminazione della popolazione palestinese passa anche attraverso metodi più subdoli. Si pensi al solo fatto che gli arabi palestinesi residenti a Gerusalemme Est non possiedono la cittadinanza israeliana. A loro è concesso un “permesso di residenza”, che può essere revocato in qualsiasi momento. Non avere cittadinanza equivale a non poter votare ed essi sono, in definitiva, cittadini di nessuno stato.
La città di Gerusalemme è da sempre stata l’obiettivo finale prima del sionismo e successivamente di Israele. Lo stesso termine Sion indica nella tradizione ebraica la città di Gerusalemme e appare più di centocinquanta volte nella Bibbia. Tale appellativo, secondo la tradizione, sarebbe stato dato alla città di Gerusalemme dal re Davide, dopo che divenne la capitale del regno di Israele. Ed è per questo che per uno stato come quello israeliano, nato per diventare la patria degli ebrei, la città di Sion non rappresenta solo una scelta politica, ma è una decisione carica di valori simbolici e significati; il solo vero collant di una comunità, quella ebraica in generale e nello specifico quella ebraica-israeliana, non priva di divisioni e tensioni interne.
Se gli obiettivi sionisti-israeliani sono da sempre stati quelli di ottenere una patria ebraica pura ed esclusiva per il popolo ebraico, spesso de-arabizzando (o de-palestinizzando) interi quartieri della città di Gerusalemme, è allora più che lecito pensare che una Gerusalemme israeliana equivarrebbe a una Gerusalemme ebraica, in totale disprezzo degli abitanti arabi musulmani e arabi cristiani che da sempre l’hanno abitata e che trovano in essa anche un centro culturale, spirituale e religioso.
Una Gerusalemme palestinese, al contrario, non equivarrebbe ad affermare la superiorità di una religione sull’altra. L’attributo palestinese in sé, infatti, non serve per indicare l’appartenenza della città a un gruppo religioso o etnico o culturale; bensì a un gruppo di cittadini residenti nel territorio di quella che era la Palestina storica.
In conclusione, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello stato di Israele rappresenta, nei termini coloniali più sopra accennati, quel tentativo di superare in maniera definitiva la dimensione coloniale israeliana agli occhi della comunità internazionale, per la quale Gerusalemme Est è ancora un territorio occupato ed è anche la dimostrazione che la soluzione a due stati è stata fino a oggi solamente una farsa che mai e poi mai avrebbe potuto risolvere il dramma palestinese. In primo luogo perché, come dimostra l’intera vicenda relativa alla città di Gerusalemme, non ci sono limiti definiti per i due stati e Israele continua a perseguire il suo obiettivo di espansione su sempre maggiori porzioni di territorio strategico.
In secondo luogo, l’importanza che riveste la città di Gerusalemme non è certo minore di quella che riveste per la controparte israeliana e uno stato palestinese che non abbia come sua capitale Gerusalemme non potrebbe mai essere accettato dal popolo palestinese, allontanando ancora di più ogni spiraglio di pace e giustizia. Nena News