780 nuove unità abitative coloniali in arrivo in Cisgiordania. Tel Aviv, intanto, nella notte ha bombardato “target” di Hamas nella Striscia di Gaza in risposta al lancio di due razzi partiti dall’enclave palestinese. Proteste e scontri con la polizia in ben 10 città tunisine: centinaia gli arresti, soprattutto adolescenti. Massacro nel Darfur Occidentale: almeno 83 le persone uccise negli attacchi delle milizie armate vicino al campo di Krinding nella città di el-Geneina
della redazione
Roma, 18 gennaio 2020, Nena News
Territori occupati palestinesi
Israele ha approvato ieri altre 780 unità abitative nella Cisgiordania Occupata palestinese. A dare la notizia è stata l’organizzazione israeliana Peace Now che ha sottolineato in una nota come la decisione di Tel Aviv pone Israele in “rotta di collisione” con Biden che si insedierà mercoledì alla Casa Bianca. Il neo presidente, infatti, ha dichiarato più volte che la sua amministrazione si opporrà all’espansione coloniale in Cisgiordania. L’annuncio di ieri è stato criticato anche da un portavoce dell’Unione europea che ha sottolineato come la mossa di Tel Aviv sia “contraria al diritto internazionale e mina le prospettive per una soluzione di pace a due stati”. Peace Now non ha dubbi: “Il premier Netanyahu, ancora una volta, sta ponendo i suoi interessi personali davanti a quelli del Paese”, sottolineando come i suoi recenti ok all’allargamento delle colonie abbiano soprattutto finalità elettorali in vista delle elezioni del prossimo 23 marzo. Secondo alcuni analisti, il tentativo di “Bibi”è quello di prendere voti a destra soprattutto dai coloni.
Gaza
L’aviazione israeliana ha fatto sapere di aver colpito stamane all’alba la Striscia di Gaza in risposta a due attacchi provenienti dall’enclave sotto assedio palestinese diretti verso la città israeliana di Ashdod. In una nota, l’esercito ha riferito di aver bombardato “target” del movimento islamico palestinese Hamas, tra cui alcuni tunnel sotterranei che giungono in Israele. Al momento non ci sono notizie di feriti da parte palestinese. I razzi sparati invece dalla città di Beit Hanoun (nord della Striscia di Gaza) hanno raggiunto invece il mare vicino ad Ashdod (sud d’Israele) e non hanno causato quindi danni e feriti. Al momento non è chiaro chi abbia lanciato i missili. Tuttavia, come da prassi in questi casi, per Israele la responsabile di tutto ciò che avviene nella Striscia è solo Hamas.
Tunisia
Per il secondo giorno consecutivo, si sono registrati duri scontri tra polizia tunisina e manifestanti a Tunisi e in altre 10 città della Tunisia. Le proteste, che non presentano al momento chiare richieste, giungono mentre il Paese affronta una dura crisi economica ed è in lockdown da giovedì per prevenire la diffusione del Covid-19. Secondo il portavoce del ministero degli Interni, le persone arrestate sono finora 242, molte delle quali sono adolescenti e bambini che hanno provato a rubare negozi e banche in diverse città del Paese. A dieci anni dalla rivolta contro l’autocrate Ben Ali, la Tunisia è quasi in bancarotta. Il prodotto interno lordo è crollato del 9% lo scorso anno, i prezzi sono aumentati vertiginosamente e circa un terzo della popolazione giovane è disoccupata. La situazione è ancora più difficile nella zona centrale e meridionale del Paese da sempre più in marginalizzata rispetto alle aree costiere. Il turismo, settore chiave dell’economia, già in difficoltà dopo gli attacchi terroristici nel 2015, ha subito un durissimo colpo a causa della pandemia da Covid-19 che ha causato in Tunisia più di 5.600 morti. Le proteste sono un problema di non facile soluzione per il governo di Hisham Meshishi che ha compiuto recentemente un rimpasto di governo.
Darfur (Sudan)
Scontri violenti tra milizie armate nella regione sudanese del Darfur hanno provocato la morte di almeno 83 persone nelle ultime 48 ore. Una notizia che è ancora più amara se si pensa che solo lo scorso 31 dicembre la missione di pace Onu nell’area (UNAMID) ha terminato le sue operazioni. Secondo un comunicato del Comitato centrale dei dottori sudanesi, citato dall’agenzia Afp, “il numero di morti ad al-Geneina, capitale dello stato del Darfur Occidentale, è salito domenica mattina a 83. Sono 160 i feriti. Tra questi, ci sono anche uomini delle forze armate”. Le autorità sudanesi hanno imposto il coprifuoco nell’intero stato del Darfur Occidentale e hanno inviato una delegazione di “alto profilo” nel tentativo di contenere la situazione. Sabato il governatore della regione aveva dichiarato lo stato di emergenza, autorizzando l’uso della forza nel tentativo di stabilizzare la situazione e rispettare il coprifuoco imposto.
Secondo l’organizzazione umanitaria the Darfur Bar Association, le violenze sono scoppiate quando un membro della tribù Massalit ha accoltellato uno di una tribù araba. Il Darfur non è nuovo a bagni di sangue: le violenze sono scoppiate nell’area nel 2003 dopo che molti ribelli non arabi si sono sollevati contro Khartoum. Gli scontri hanno causato nel corso degli anni la morte di circa 300.000 persone. Più di 180.000 sono stati gli sfollati (dati Onu). L’allora presidente Bashir – deposto nell’aprile del 2019 e ricercato dalla Corte Penale Internazionale per presunto genocidio e crimini di guerra in Darfur – rispose alle tensioni reclutando e armando la milizia per lo più araba dei Janjawwed. Questi sono ritenuti vicini alla Forza di supporto rapido (Rsf), il cui leader, Mohammed Hamdan Dagolo (Hemeti), è ora leader del governo di transizione.