Raid israeliano nella prigione militare di Ofer. Passi “pratici” nel dialogo nucleare tra Iran e Stati Uniti. Reporters senza Frontiere: la regione Mena ultima in classifica nella libertà di stampa
della redazione
Roma, 21 aprile 2021, Nena News
Raid israeliano nella prigione militare di Ofer
Per la seconda volta in un mese, ieri un’unità speciale dell’esercito israeliano ha compiuto un raid nel carcere militare di Ofer dove sono detenuti circa 900 prigionieri politici palestinesi su un totale attuale di 4.450, tra cui molti membri di partiti politici. “Una provocazione”, l’ha definito il Palestinian Prisoners Media Office.
Ofer è considerato tra le prigioni più dure per i detenuti palestinesi ed è quella in cui si sono svolte e si svolgono tuttora le forme di protesta più significative, a partire dagli scioperi della fame individuali e collettivi per ottenere migliori condizioni di vita, dalle visite dei familiari alla fine dell’uso della detenzione amministrativa come pratica standard (ovvero la detenzione senza processo né accuse rinnovabile di sei mesi in sei mesi senza limiti di tempo).
Condizioni di vita che si sono fatte ancora più difficili in questi mesi di pandemia: Israele ha completamente chiuso le prigioni e cancellato le visite familiari, senza però – denunciano i palestinesi – fornire sufficienti misure anti-contagio ai prigionieri.
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Passi “pratici” nel dialogo nucleare tra Iran e Stati Uniti
Il dialogo tra Iran e firmatari dell’accordo sul nucleare del 2015 sta avanzando: siamo al 60-70%, ha commentato il presidente iraniano Hassan Rohani, e “se gli americani agiranno con onestà, raggiungeremo dei risultati a breve”. La prova, ha aggiunto, che la strategia della massima pressione utilizzata in questi ultimi anni dall’ex presidente Trump ha fallito.
Anche il Dipartimento di Stato Usa si dice soddisfatto: i negoziati procedono bene, ha detto il portavoce Ned Price ieri, ma ancora l’accordo non è stato rimesso in piedi “e la strada è ancora lunga”. Price ha poi confermato che la delegazione statunitense tornerà a Vienna, dove si stanno svolgendo i negoziati indiretti con Teheran (tramite intermediari), la prossima settimana.
Al momento si sta operando tramite una Commissione congiunta di cui fanno parte i cinque firmatari dell’accordo del 2015 (Russia, Cina, Francia, Germania e Gran Bretagna, oltre agli Usa e all’Unione Europea) e un gruppo di esperti che sta lavorando sulle misure per riattivare l’accordo, passi pratici: una lista delle sanzioni contro Teheran che Washington dovrebbe cancellare e lo stop all’arricchimento dell’uranio da parte iraniana.
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Reporters senza Frontiere: la regione Mena ultima in classifica nella libertà di stampa
Il nuovo rapporto di Reporters senza Frontiere (Rsf) è impietoso per Medio Oriente e Nord Africa: molti dei paesi della regione sono in fondo alla classifica globale della libertà di stampa. La regione peggiore in cui la situazione è peggiorata con la pandemia, usata come scusa dai regimi per incrementare i controlli sui giornalisti e i media.
Negli ultimi 20 posti in classifica ci sono nove paesi della regione mediorientale e nordafricana: Somalia al 161°, Iraq al 163°, Libia al 165°, Egitto al 166°, Bahrain al 168° e Yemen al 169°, Arabia Saudita al 170°, Siria 173° e Iran 174°, Gibuti al 176° e all’ultimo posto, al 180°, l’Etiopia.
Se la situazione è pessima ovunque (secondo Rsf, in tre quarti degli Stati del mondo, “il lavoro giornalistico è del tutto bloccato o gravemente impedito”), alcuni paesi della regione Mena hanno rafforzato la censura negli ultimi anni. E’ il caso dell’Arabia Saudita che con il principe ereditario Mohammed bin Salman ha visto triplicare il numero di giornalisti arrestati. Simile il caso egiziano: con il regime di al-Sisi la censura si è fatta più pervasiva e ha condotto non solo all’arresto di decine di giornalisti ma anche alla chiusura di centinaia di media. Solo nell’ultimo anno di pandemia, oltre 30 siti di informazione sono stati oscurati. Nena News