Continua la protesta a Nassiriya, epicentro piazza Haboubi: ieri un poliziotto è stato ucciso, decine i manifestanti feriti. Gli Stati Uniti decidono di inserire gli Houthi nella lista dei gruppi terroristici, mossa anti-Iran che preoccupa l’Onu: sarebbe impossibile negoziare la pace. La Turchia chiede di abbandonare WhatsApp per le app locali
della redazione
Roma, 11 gennaio 2021, Nena News -
Iraq
Continua la protesta a Nassiriya, città del sud dell’Iraq, dove da novembre scorso un presidio di tende è stato eretto a piazza Haboubi. E’ qui che otto persone sono state uccise negli scontri tra manifestanti anti-governativi e sostenitori del leader sciita Moqtada al-Sadr che, come a Baghdad, da tempo tentano (spesso con successo) di infiltrarsi nei sit-in.
Ieri, per il terzo giorno consecutivo, la polizia irachena ha tentato di disperdere i manifestanti. Negli scontri un poliziotto è morto, colpito – secondo fonti mediche – da una pallottola alla testa. Trentatré i militari feriti, secondo l’esercito, insieme a decine di manifestanti.
La protesta è parte della grande mobilitazione iniziata in Iraq nell’ottobre 2019, ribattezzata dai manifestanti “Rivoluzione d’Ottobre”, scoppiata a Baghdad e nel sud a maggioranza sciita contro diseguaglianze sociali, disoccupazione, settarismo e corruzione. Una mobilitazione enorme che ha coinvolto ampi settori della società, duramente repressa dalle forze di polizia e dall’esercito (si parla di oltre 900 morti e 25mila feriti), rallentata solo dall’epidemia da Covid-19.
A Nassiriya la protesta è ripresa due mesi fa, epicentro piazza Haboubi, ripresa dai manifestanti lo scorso venerdì dopo essere stata evacuata dalla polizia. A infiammare la rabbia della piazza sono anche i continui arresti di attivisti, sparizioni forzate e in alcuni casi omicidi, spesso per mano delle milizie sciite locali: venerdì l’avvocato e noto attivista Ali al-Hamami è stato ucciso a Nassiriya dentro la sua casa, da un gruppo non identificato. Membro della Iraq High Commission for Human Rights, è morto soffocato.
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Yemen
A dieci giorni dalla sua uscita dalla Casa Bianca, l’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump ha deciso di inserire il movimento Ansar Allah, riferimento politico della minoranza Houthi in Yemen, nella lista delle organizzazioni terroristiche straniere. A renderlo noto sono state per prime fonti interne al governo Usa, poi confermate da un comunicato del segretario di Stato Mike Pompeo.
“La designazione è volta a rendere Ansar Allah responsabile dei propri atti terroristici, compresi attacchi oltre confine che minacciano le popolazioni civili, le infrastrutture e il commercio navale”, scrive Pompeo, in riferimento in particolare all’attacco dello scorso 30 dicembre all’aeroporto di Aden durante l’arrivo del nuovo esecutivo yemenita (gli Houthi hanno da subito rigettato ogni accusa).
Tre leader del movimento, Abdul Malik al-Houthi, Abd al-Khaliq Badr al-Din al-Houthi e Abdullah Yahya al-Hakim, saranno designati come “global terrorists”, ha aggiunto il segretario di Stato.
Si attende per oggi una comunicazione ufficiale, già criticata da chi teme che una simile mossa possa complicare il difficile percorso politico verso la fine della guerra civile tra Houthi e governo del presidente Hadi, basato da anni tra la città meridionale di Aden e l’Arabia Saudita, di cui è stretto alleato. La decisione – che impedirebbe al movimento di ricevere denaro, di compiere transizioni bancarie e soprattutto di prendere parti a negoziati diplomatici ufficiali – sembra a tutti gli effetti l’ultima possibilità per Trump di colpire l’Iran, di cui gli Houthi sono considerati riferimento in Yemen, a favore dell’asse sunnita capitanato da Riyadh e che dal marzo 2015 bombarda lo Yemen per farlo tornare sotto il proprio controllo.
A preoccupare sono soprattutto gli effetti sulla distribuzione, già molto difficile, di aiuti umanitari nelle zone controllate dagli Houthi, il nord e il centro dello Yemen, che come il resto del paese vivono da anni una crisi alimentare e sanitaria senza precedenti. In quanto autorità amministrativa e militare, sono gli Houthi a garantire il passaggio di aiuti, che potrebbe essere complicato dalla decisione americana.
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Turchia
Governo turco contro WhatsApp. Dopo i nuovi termini di servizio che l’app ha previsto per poter utilizzare il servizio di messaggistica, comparsi sugli smartphone di due miliardi di persone a partire da giovedì, Ankara ha invitato i cittadini turchi a cancellare WhatsApp per sostituirla con app locali, come BiP e Dedi.
Secondo i nuovi termini, dall’8 febbraio i dati degli utenti saranno condivisi con Facebook, proprietaria della app, una mossa fortemente criticata in tutto il mondo. Solo Europa e Regno Unito non saranno interessate dalla condivisione. Una previsione che ha fatto infuriare il governo turco e l’ufficio presidenziale per la Trasformazione Digitale: “La distinzione tra paesi membri della Ue e gli altri – ha detto sabato Ali Taha Koc, capo dell’ufficio – è inaccettabile. Le applicazioni straniere comportano rischi significativi per la sicurezza dei dati. Per questo abbiamo bisogno di proteggere i dati digitali con software locali e nazionali e svilupparli in linea con i nostri bisogni. I dati della Turchia restano in Turchia grazie a soluzioni nazionali”.
Il governo è stato il primo a disinstallare WhatsApp: da ieri, ha fatto sapere l’ufficio stampa della presidenza, i giornalisti non saranno più avvertiti delle conferenze stampa sulla app di Facebook ma tramite BiP della compagnia Turkcell. Che ha già registrato un boom, anche grazie all’hashtag diventato virale #WhatsAppSiliyoruz (Cancelliamo WhatsApp): un milione di nuovi utenti in 24 ore, per un totale di oltre 53 milioni di account in tutto il mondo.
Peccato che anche BiP sia “sotto controllo”: lo scorso luglio una nuova legge sui social media ha imposto alle società proprietarie di aprire propri uffici in Turchia, pena multe salate e la censura, così da poter essere meglio controllate. Ma i colossi mondiali non si sono adeguati e tra novembre e dicembre WhatsApp, Twitter, Tik Tok e Instagram sono state multate: quattro milioni di dollari a testa. Si è salvato YouTube che ha accettato le restrizioni turche. Nena News