In 48 ore due importanti visite di Stato rimescolano le carte. Russia e Iran usano il maggior potere contrattuale ottenuto in Siria per spingere Turchia e Arabia Saudita verso accordi commerciali che aprono alla distensione
della redazione
Roma, 5 ottobre 2017, Nena News – Quarantasei persone sono state arrestate ieri dalle autorità saudite per aver espresso dissenso attraverso i social media e per aver acceso “divisioni tribali”. Tra loro anche un cittadino del Qatar, di cui è difficile immaginarne la sorte dopo la rottura dei rapporti diplomatici tra Doha e Riyadh, dello scorso giugno.
Sulle presunte attività degli arrestati si sa poco. Fonti interne alla sicurezza parlano di video pubblicati online e che “incitano contro l’ordine pubblico”, di “persone che promuovono bugie e esagerazioni sulle proprie condizioni al fine di provocare tensioni tribali”.
Gli arresti giungono mentre re Salman si trova a Mosca, in una visita che potremmo definire storica viste le posizioni assunte dai due paesi, Arabia Saudita e Russia, intorno alla crisi siriana in tempi recenti, ma anche su quella afghana in passato. Sul tavolo c’è tanto denaro: secondo il ministro russo dell’Energia, Riyadh avrebbe in mente di investire un miliardo nella costruzione di un impianto petrolchimico.
Sul tavolo dei due leader ci saranno dieci importanti accordi, in particolare nel settore energetico (il colosso saudita Aramco ha parlato di intesa già firmata con il partner russo Litasco, possibilità che fa prevedere agli esperti un cambio serio dello scenario energetico globale), e la creazione di un fondo da un miliardo di dollari per investimenti nel settore petrolifero.
Ma al presidente russo Putin interessa anche altro, ergersi a leader indiscusso del Medio Oriente, in un periodo di debolezza dell’avversario statunitense e l’avanzata delle forze collegate a Mosca, Assad e Iran in testa. E Riyadh ormai ne è consapevole: messa all’angolo sulla questione siriana, dopo aver acceso per anni il conflitto con denaro e armi a pioggia, sa che il presidente Assad è ben lontano dal cadere.
In tal senso, appare strettamente collegata alla prima visita di un monarca saudita in Russia quella che ieri si è svolta a Teheran: il presidente turco Erdogan è volato in Iran per un giorno e ha incontrato il presidente iraniano Rouhani e l’Ayatollah Khamenei.
A sentire le dichiarazioni dei due leader sembrava che la guerra non fosse mai intercorsa tra i due rivali, impegnati da almeno sei anni a arginare l’altro per farsi leader della regione. Se è la Turchia ad aver più bisogno dell’Iran in questo momento e se nessuno dei due ha parlato in pubblico dei rispettivi ruoli nella guerra siriana, appare chiaro che Erdogan sia in cerca di sostegno per le politiche che intende realizzare nel nord della Siria. Magari in cambio di un allentamento della pressione su Damasco: secondo fonti interne, al prossimo round di negoziati a Astana, previsto alla fine del mese, Ankara premerà per ottenere una nuova zona di de-escalation, stavolta ad Afrin, cantone kurdo nella parte occidentale di Rojava e al momento diviso dal resto del territorio kurdo proprio dalla presenza delle truppe turche.
E ora a riavvicinare le due potenze regionali è intervenuto anche il referendum kurdo sull’indipendenza che ha scatenato le ire di Erdogan, da sempre alleato di prima fila di Erbil. Ankara e Teheran, ieri, hanno ribadito l’intenzione di fare pressioni – via chiusura dei confini e sanzioni economiche – sul presidente Barzani. Per farlo hanno gettato le basi per un incremento significativo degli scambi economici, in particolare nel settore energetico, quello cioè che tiene in piedi dal 2014 la traballante economia kurdo-irachena.
Da 10 miliardi annui a 30 di interscambio: è l’obiettivo dichiarato ieri da Rouhani e Erdogan, che hanno intanto siglato i primi quattro memorandum d’intesa per la cooperazione tra banche centrali, archivi di Stato, emittenti tv e dogane. Un modo per facilitare gli scambi terrestri e per farlo calibrando i valori delle rispettive monete. Nena News