Tra il 2016 e il 2020 i paesi della regione hanno acquistato armi a ritmi sostenuti: +136% l’Egitto, +361% il Qatar, +61% l’Arabia Saudita. Contestualizzando i dati, l’aumento nelle importazioni è giunto nel quinquennio della rivalità nel Golfo, della Nato araba anti-Iran, della guerra in Yemen e di quella libica e del consolidamento del regime egiziano di al-Sisi
di Chiara Cruciati
Roma, 15 marzo 2021, Nena News – Il nuovo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), dedicato come ogni anno alle esportazioni e importazioni di armi nel mondo, dà un quadro della situazione mediorientale chiarissimo: nel quinquennio tra il 2016 e il 2020 la regione ha acquistato il 25% di armamenti in più di quanto fatto nei cinque anni precedenti, tra il 2011 e il 2015.
Contestualizzando: i cinque anni appena conclusi sono stati quelli dell’operazione militare a guida saudita contro lo Yemen, quelli del consolidamento del regime egiziano di Abdel Fattah al-Sisi e dell’ulteriore rafforzamento dell’oligopolio politico ed economico dell’esercito, quelli dell’ingresso nella crisi libica di nuovi attori e dell’arrivo in Siria della Russia, quelli della nascita della Nato araba, fronte anti-iraniano che ha legato Israele al Golfo, e infine gli anni della rottura (appena rientrata) tra il Qatar e il resto del Consiglio del Golfo.
Anni, dunque, di grande tensione a cui i vari regimi hanno risposto armandosi a dismisura. Non a caso i paesi che hanno riempito di più i loro arsenali sono quelli appena citati: l’Arabia Saudita ha aumentato gli acquisti del 61%, il Qatar del 361%, l’Egitto del 136%. E non a caso proprio Riyadh è la prima in classifica per l’acquisto di armi al mondo, seguita dall’India e dall’Egitto, paese sempre più povero come raccontano i dati (il 30% degli egiziani vive sotto la soglia di povertà, un altro 30% poco sopra) ma che investe nelle forze armate e in progetti infrastrutturali faraonici.
Lo scorso anno Sipri calcolava un incremento del 206% tra il 2015 e il 2019 nell’import militare egiziano rispetto al quinquennio precedente: le sue importazioni rappresentano il 5,58% del mercato globale con 40 accordi di vendita dal valore totale di 15 miliardi di dollari siglati negli ultimi sei anni. Numeri che non tengono conto degli ultimi acquisti, a partire dalle fregate, gli elicotteri e i caccia (un pacchetto che si aggira tra i nove e gli undici miliardi di euro) e dai 168 missili tattici Raytheon americani, valore totale 197 milioni di dollari.
“La crescita più significativa nell’importazione di armi – si legge nel rapporto Sipri – si è registrata in Medio Oriente. I paesi mediorientali hanno importato il 25% di armi in più nel 2016-2020 di quanto fatto nel 2011-2015. Questo dato riflette la competizione strategica regionale tra diversi Stati del Golfo”.
Calano le importazioni militari turche, del 59%, ma non a causa di una riduzione del loro impiego. Ankara, impegnata in questi anni nella Siria del Nord, nell’invasione e l’occupazione del Rojava a maggioranza curda e nell’ingresso in pompa magna nella guerra libica al fianco della Tripoli del premier al-Sarraj, sta investendo seriamente nella produzione interna, nell’obiettivo di diventare il più possibile autonoma nel settore militare.
Cambia poco sul fronte dei venditori: gli Stati Uniti restano in testa alla classifica con 96 paesi importatori (un quarto delle armi statunitensi vanno a Riyadh), tallonati da Francia e Germania. Sono questi tre Stati ad aver incrementato di più le vendite, mentre sono calate quelle di Russia (che resta seconda al mondo ma con un -22%) e Cina (-7,8%). In ogni caso, avverte Sipri, sebbene il volume del trasferimento di armi a livello globale non sia aumentato troppo rispetto al quinquennio 2011-2015, resta il più alto dalla fine della Guerra Fredda. Nena News