Rinvenuti altri 8 resti umani in 3 nuove fosse. Ma il massacro compiuto dalle forze cirenaiche di Haftar potrebbe avere una portata maggiore. Intanto, per la liberazione dei marittimi siciliani detenuti da inizio settembre dalle autorità libiche dell’est, l’Italia si muove con la mediazione degli Emirati Arabi
della redazione
Roma, 14 ottobre 2020, Nena News – L’orrore in Libia pare non aver fine: altre tre fosse collettive sono state infatti scoperte ieri nella città di Tarhuna (90 km a nord est di Tripoli) dopo quelle già rinvenute 3 mesi fa. Secondo la stampa locale, un team di ricerca (l’Autorità generale per la ricerca e l’identificazione delle persone scomparse) ha ritrovato i resti di almeno 8 persone di cui si erano perse le tracce dopo il ritiro delle forze guidate dal capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl) Khalifa Haftar. La squadra investigativa – organismo formato dal Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli riconosciuto internazionalmente – ha detto che i resti sono stati rinvenuti in tre fosse poste una vicina all’altra.
La scoperta fatta ieri fa il paio con quelle fatte a luglio: allora il Gna aveva recuperato in città i cadaveri e resti umani di almeno 226 persone. Ma l’orrore potrebbe non finire qui. “Sono passati 5 mesi da quando Tarhuna è stata conquistata dai gruppi che sostengono il Gna. I cadaveri di cittadini uccisi dalla Laaf sostenuti dalla milizia Kaniyat vengono esumati su base settimanale. Ma ci sono molte aree dove bisogna ancora scavare”, ha detto Emadeddin Badi, ricercatore del Programma Medio Oriente dell’Atlantic Council. Le “scoperte” di Tarhuna raccontano meglio di tante parole la devastazione umana e sociale provocata dalla guerra civile tra ovest (Tripolitania) ed est (Cirenaica) iniziata dal generale Haftar nell’aprile del 2019. Che i massacri siano avvenuti proprio qui non sorprende: la città era infatti strategica per l’Enl per tentare di riconquistare Tripoli. Tentativo rivelatosi poi fallimentare.
Sul banco degli imputati per gli orrori di Tarhuna c’è soprattutto la milizia Kaniyat (legate all’Enl) che è accusata di aver fatto sparire centinaia di residenti. Lo scorso fine mese il portale Middle East Eye (Mee) aveva intervistato numerosi cittadini di Tarhuna che avevano denunciato decine di sparizioni di loro parenti per mano degli uomini di Haftar. Non solo: Mee aveva anche riferito di prigioni in città dove sono state commesse torture. Il sindaco della città aveva anche detto che, senza aiuto internazionale, per riportare alla luce l’intero massacro avvenuto ci vorrà almeno un anno. E questo aiuto pare per il momento essere lontano: la scorsa settimana l’Onu ha affermato che, causa crisi liquidità, non riuscirà a portare a termine i suoi mandati quest’anno. Tra questi, anche quello di documentare gli abusi avvenuti in Libia.
Non è di certo migliore la situazione economica in Libia. L’economia del Paese nordafricano è infatti al collasso dopo la guerra civile e il blocco totale della produzione di petrolio soltanto da qualche settimana ripresa in diversi punti. Secondo le previsioni di ottobre fatte ieri dal Fondo monetario internazionale (Fmi), il Prodotto interno lordo (Pil) locale vedrà una contrazione del 66,7 per cento rispetto all’aumento del 9,9 per cento registrato del 2019. Si tratta del più brusco calo dell’economia al mondo secondo le stime del Fmi. “Sullo sfondo di una guerra civile e di capacità deboli – ha scritto l’ente internazionale – l’affidabilità dei dati della Libia, soprattutto per quanto riguarda i conti nazionali e le proiezioni a medio termine, è bassa”. Secondo le stime dell’Fmi, l’economia del paese nordafricano dovrebbe però riprendersi subito con un aumento del 76 per cento nel 2021, per poi stabilizzarsi intorno allo 0,3 per cento nel 2025.
Qualcosa, intanto, sembrerebbe muoversi per quanto riguarda il rilascio degli 8 pescatori italiani di Mazara del Vallo arrestati a inizio settembre a largo delle coste di Bengasi. Ieri, ha riferito ad Agenzia Nova una fonte vicina all’Enl, l’Italia avrebbe avviato contatti con le autorità libiche dell’est grazie alla mediazione offerta dagli Emirati Arabi Uniti (schierati con Bengasi nel conflitto civile). La fonte ha detto che “i funzionari emiratini hanno effettuato una lunga telefonata con uno dei leader dell’Esercito nazionale libico per coordinare i dettagli del negoziato e per discutere le modalità per liberare i detenuti di ciascuna parte con soddisfazione di ambo le parti”. Le autorità cirenaiche hanno infatti chiesto il rilascio di 4 cittadini libici condannati in Italia in via definitiva per traffico di esseri umani e per omicidio di migranti. Ore di speranze dunque per i familiari dei marittimi siciliani (ma detenuti insieme a loro ci sono anche 6 tunisini, 2 senegalesi e 2 cittadini indonesiani) che da settimane chiedono al governo italiano il rilascio dei loro cari. I prolungati silenzi di Roma sulla vicenda sono stati molto criticati dalle forze della destra italiana (Fratelli d’Italia e Lega) che accusano da settimane Palazzo Chigi di immobilismo. Ieri il leader della Lega Salvini ha incontrato davanti a Montecitorio i familiari dei pescatori e sia su Twitter che in Senato ha chiesto a Conte la loro liberazione. Nena News