L’azione di Italia e Europa mira a pacificare l’area per permettere la ripresa degli investimenti esteri e consentire di spostare il focus del problema migratorio dalla costa settentrionale alla costa meridionale del Mediterraneo. Il prezzo da pagare per questa futura stabilità rischia, però, di ricadere oggi sui migranti e sulla popolazione libica delle città di “confine”
di Francesca La Bella
Roma, 12 ottobre 2017, Nena News - Dalla metà di settembre la città di Sabratha assiste a scontri tra gruppi armati tra i più cruenti dall’inizio della guerra civile libica. A fronte di una popolazione di circa 80000 persone, si stima che 15000 siano state sfollate verso le città vicine e che molte siano le vittime dei combattimenti, anche tra i civili. A questo già cospicuo numero si devono aggiungere le migliaia di migranti detenuti a Sabratha e trasferiti d’urgenza verso Zuwara.
Secondo quanto riferito dai portavoce della missione delle Nazioni Unite per la Libia (Unsmil), infatti, tra il 6 e l’8 ottobre, circa 4000 migranti, richiedenti asilo e rifugiati sarebbero stati riuniti nel centro di Dahman per essere trasferiti nelle località vicine mentre, a partire dal 9 ottobre, altri 2000 migranti provenienti da Sabratha avrebbero raggiunto Zuwara a piedi dove sarebbero attualmente detenuti. La situazione sarebbe tanto grave da indurre l’Italia, di concerto con l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (Oim) e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ad approntare una task force di emergenza che fornisca cibo, medicine e beni di prima necessità alle città di Sabrata e Zuwara per far fronte alle necessità dei migranti.
Per quanto, dopo l’ingresso delle forze di Tobruk guidate da Khalifa Haftar, la battaglia sembrerebbe essersi conclusa, la situazione rimane, dunque, particolarmente instabile a causa delle persistenti rivalità tra le diverse forze in campo. A Sabratha, infatti, coesistono attori con interessi molto differenti che, nella gestione della città diventata famosa come hub di partenza dei trafficanti di uomini attraverso il Mediterraneo, cercano di difendere la propria posizione di privilegio.
Una posizione di privilegio che i gruppi coinvolti negli scontri, la milizia al Ammu e la Brigata 48 da un lato e le milizie al Wadi e la Anti-ISIS operation room dall’altro, tutte formalmente facenti riferimento al Governo di Accordo Nazionale di Fayez al Sarraj, si sono costruite a seguito dell’interferenza negli affari interni del Paese da parte europea in generale, ed italiana in particolare. Molti analisti, infatti, trovano la scintilla del conflitto di Sabratha nell’accordo firmato quest’estate dal Ministro dell’Interno italiano Marco Minniti per contenere i flussi migratori attraverso il Mediterraneo.
Molto interessante risulta, in questo senso, il lungo reportage scritto da Daniel Howden per Refugees deeply. Secondo il giornalista inglese a Sabratha la gestione dei traffici migratori era nelle mani di Ahmed Dabbashi che, conosciuto come “al Ammu” o “zio”, è soggetto noto alle autorità italiane. La brigata Anas al-Dabbashi, dal nome del cugino di al Ammu ucciso durante la guerra del 2011 contro Gheddafi, venne, infatti, assoldata nel 2015 per fornire sicurezza esterna all’impianto petrolifero di Mellitah, di proprietà dell’italiana ENI e della Libyan National Oil Corporation. Con i redditi ottenuti dalle attività a Mellitah (secondo alcune fonti, la brigata sarebbe coinvolta anche nel rapimento dei tecnici italiani della Bonatti nel 2015), la milizia si sarebbe imposta come la principale forza militare nella città portuale.
Secondo quanto riportato da Howden, al momento dell’incontro tra Minniti e gli anziani capi tribali libici, la volontà di chiudere le frontiere al traffico dei migranti sarebbe stata immediatamente recepita da al Ammu che, nel cambiamento, avrebbe trovato una nuova opportunità di guadagno. La sua brigata avrebbe, infatti, preso possesso tra fine giugno ed inizio luglio di una prigione abbandonata a circa 3 km dal terminal di Mellitah che avrebbe trasformato in un centro di detenzione per migranti.
La legittimità dell’operazione sarebbe, poi, stata garantita a posteriori dal Ministro degli Interni della GNA, Aref al-Khoja, che avrebbe formalmente concesso la gestione della struttura alla milizia e dalla consegna, il 16 di agosto, di forniture mediche donate a Sabratha dalla Cooperazione Italiana per lo Sviluppo.
L’accordo, dunque, da un lato ha evidentemente ridotto in maniera significativa le partenze da Sabratha e dalle coste libiche in generale, ma potrebbe aver soffiato sulle rivalità interne alla città. E’ di questa opinione al-Tahar al-Gharabili, comandante del Consiglio Militare di Sabratha, che, spiegando gli eventi che hanno portato agli scontri dei giorni scorsi, ha sottolineato come la posizione di privilegio delle milizie al Ammu le abbia portate a scontrarsi, proprio in merito al traffico di esseri umani, con i trafficanti provenienti dal distretto al-Wadi. Gli eventi successivi sarebbero, poi, stati amplificati dalla trasformazione di una guerra tra bande in una lotta ideologica tra due fronti opposti a cui, poco prima della liberazione si è unita anche la Libyan National Army (Lna) guidata da Haftar.
Tutto questo non dovrebbe stupire e l’analisi sul caso specifico di Sabratha può essere estesa all’intero territorio libico e a molti altri attori. Dal punto di vista europeo questo approccio ambisce ad ottenere due obiettivi specifici: da un lato la pacificazione dell’area per permettere la ripresa dell’economia locale e, di conseguenza, degli investimenti esteri e, dall’altro, consente di spostare il focus del problema migratorio dalla costa settentrionale alla costa meridionale del Mediterraneo.
Dal punto di vista italiano, il tentativo del Governo che, attraverso il Ministro degli Esteri Angelino Alfano, nega qualsiasi forma di finanziamento ai trafficanti, è anche quello di riprendere le fila di un’alleanza sempre più debole. L’incapacità di al Sarraj di imporsi come leader, la forza crescente di Haftar e di Tobruk che mantengono relazioni molto fredde con Roma, ha indotto il Ministro degli interni Minniti a lavorare anche come Ministro degli Esteri per ricucire rapporti, spesso ambigui e discutibili, con gli attori locali. Il prezzo da pagare per questa futura stabilità rischia, però, di ricadere totalmente sui migranti e sulla popolazione libica delle città di “confine”. Nena News
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra