Nel vertice di Parigi benedetto dal presidente francese Macron, le varie fazioni hanno trovato una intesa per il 10 dicembre. Il premier al-Sarraj ammette: “Non sarà una strada coperta di rose”. Gli uomini del generale Haftar, intanto, continuano a combattere nella città di Derna dove sempre più difficile si fa la situazione dei civili intrappolati

Da sinistra a destra: il generale Haftar, il presidente francese Macron, il premier libico del Gna Al-Sarraj
della redazione
Roma, 30 maggio 2018, Nena News – “Le parti [libiche] si impegnano ad adottare le necessarie leggi elettorali entro il 16 settembre 2018 e indire le elezioni parlamentari e presidenziali per il 10 dicembre 2018”. A dirlo è una dichiarazione congiunta sottoscritta ieri a Parigi dalle principali fazioni libiche. Nella nota si legge anche che “qualsiasi ostruzione o interferenza al processo di voto non sarà tollerata e che i responsabili saranno ritenuti responsabili”. “Ci impegniamo – recita ancora il comunicato – a lavorare costruttivamente con l’Onu per indire elezioni pacifiche e credibili quanto prima e rispettarne i risultati quando avranno luogo”. Tra gli otto punti inclusi nella dichiarazione finale, vi è anche la richiesta di una immediata unificazione della banca centrale e l’impegno a creare un esercito nazionale.
Al vertice parigino di ieri erano presenti – oltra al premier del governo libico riconosciuto internazionalmente Fayez al-Sarraj, al generale rivale Khalifa Haftar e ai presidenti dei due parlamenti del Paese – anche i rappresentanti dei paesi nordafricani confinanti con la Libia, dell’Italia, della Germania, del Qatar, degli Emirati Arabi nonché dei 4 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma a dominare la scena è stato il presidente francese Emmanuel Macron che, complice anche le vicende politiche italiane, ha di fatto confermato il ruolo da protagonista assoluto che Parigi vuole giocare sulla vicenda libica. Alla fine del vertice, Macron non ha contenuto la sua soddisfazione: “È un passo essenziale verso la riconciliazione nel Paese” ha dichiarato alla stampa.
Sincero, invece, è stato il commento di al-Sarraj: “Nessuno dice che sarà un percorso coperto di rose. Le sfide esistono e continueranno ad aumentare. Lo scorso mese c’è stato un attacco terroristico e abbiamo diversi nemici ostili al processo democratico”. Al-Sarraj ha fatto riferimento a quanto accaduto poche settimane fa quando almeno 12 persone sono state uccise in un attentato contro gli uffici della commissione elettorale libica a Tripoli. Anche ieri a Parigi le divisioni tra i vari gruppi sono emerse dato che la dichiarazione non è stata siglata, come era stato programmato all’inizio dei lavori. Il motivo? Non tutte le parti riconoscono la legittimità delle altre. Immagine chiara del caos totale che regna in Libia devastata da centinaia di milizie armate e da due governi rivali a ovest e a est del Paese.
Il primo è il “Governo di accordo nazionale” (Gna) basato a Tripoli e guidato da al-Serraj e riconosciuto internazionalmente. L’altro ha base a Tobruk e non riconosce il Gna. A questo secondo parlamento fa capo il generale Haftar che ha più volte minacciato di voler prendere il controllo di Tripoli. Haftar alza la voce conscio di avere dalla sua parte diversi importanti alleati internazionali: Francia, Egitto, gli Emirati arabi e la Russia. Parigi, ad esempio, ha fornito al generale aiuto militare mandando nella parte orientale del Paese consiglieri e forze speciali. Secondo alcuni analisti, il nuovo riavvicinamento tra le parti registrato a Parigi (i precedenti sono stati sul terreno fallimentari), non sarebbe altro che un tentativo degli sponsor internazionali di Haftar (soprattutto della Francia) di promuovere la sua ascesa al governo del Paese attraverso il processo “democratico” rappresentato dalle elezioni.
Haftar ringrazia, ma sa che la partita politica va di pari passo con quella militare. Se da un lato, infatti, siede al tavolo della diplomazia nella capitale francese, dall’altro le sue forze armate continuano ad attaccare Derna, nell’est del Paese. La città è assediata dal 2016 dalle truppe del generale. Un assedio che rende sempre più insostenibile la vita per i suoi 150.000 residenti, prigionieri delle violenze in corso nell’area. Lo scorso giovedì il coordinatore umanitario dell’Unsmil (Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia) aveva denunciato il divieto di ingresso in città degli operatori umanitari per portare medicine e cibo. Haftar e i suoi uomini sono stati accusati più volte di compiere crimini di guerra durante le loro operazioni militari nell’est del Paese. Ma queste accuse non preoccupano il governo francese, sempre però in prima linea “in difesa dei diritti umani” in Siria violati da Bashar al-Asad. Lo scorso settembre un mandato d’arresto della Corte penale internazionale (Icc) aveva chiesto al generale Haftar e ai suoi uomini del cosiddetto Esercito nazionale libico (Lna) di consegnarsi all’Icc. Richiesta che è rimasta finora inascoltata.
Così come è rimasta inascoltata la voce di Human Rights Watch. “La Libia oggi non potrebbe essere più lontana dal garantire il rispetto della legge e dei diritti umani per non parlare poi delle condizioni richieste per convocare delle libere elezioni” aveva avvertito lo scorso mese Eric Goldstein, vice direttore di HRW per il Medio Oriente e il Nord Africa. “Le autorità – aveva poi aggiunto – devono garantire la libertà di riunione, di associazione e di parola a tutti coloro che partecipano alle elezioni”. Una precondizione fondamentale per poi andare alle urne, aggiunse allora la ong statunitense, è che la magistratura possa risolvere le dispute. Ma ciò non avviene in Libia dove il sistema giudiziario è “sul punto di collassare”. Nena News