Molti comuni libanesi hanno introdotto coprifuoco speciali per i profughi, denuncia Human Rights Watch. Una politica che, unita alla mancanza di informazioni e allo scarso accesso al sistema sanitario, li rende ancora più vulnerabili ai contagi
della redazione
Roma, 3 aprile 2020, Nena News – “Restrizioni discriminatorie” contro i rifugiati siriani, è la denuncia di Human Rights Watch nei confronti delle misure contro il diffondersi dell’epidemia da coronavirus assunte dalle autorità libanesi. Con 494 casi confermati di contagiati da Covid-19 e 16 decessi, il Libano lo scorso 26 marzo ha imposto il coprifuoco diurno in tutto il paese, dalle 7 di sera alle 5 del mattino.
Il 15 marzo erano stati chiusi tutti i servizi non essenziali, con l’esclusione di forni, farmacie, supermercati e banche e tre giorni dopo venivano sospesi i voli da e per paesi epicentro del virus e chiusi i confini di terra e di mare.
Il coprifuoco, però, cambia nei campi profughi e le comunità che ospitano centinaia di migliaia di rifugiati siriani, tra 1,5 e due milioni di persone, da anni ormai nel Paese dei Cedri. Non è una novità: da tempo le autorità libanesi tentano di mandar via i profughi, o cancellando permessi di residenza o con politiche – a partire dal lavoro – che impedisce a molti di loro di guadagnarsi da vivere. In un paese che conta sei milioni di abitanti, la presenza di rifugiati siriani ha avuto un impatto significativo: il Libano è, in proporzione, la nazione con il più alto numero di profughi per cittadino.
Ora, denuncia l’organizzazione internazionale Human Rights Watch, a essere usate sono le misure di contrasto alla pandemia. Già all’inizio di marzo, scrive in un comunicato Hrw, dunque ben prima che le restrizioni venissero estese a tutto il paese, otto comuni hanno imposto coprifuoco speciali ai soli rifugiati.
E’ il caso di Brital, nell’est del Libano, dove ai siriani è stato imposto l’obbligo a non uscire per gran parte della giornata, con l’esclusione di una finestra di poche ore, dalle 9 del mattino alle 13. Chi viola le nuove regole, aggiunge Hrw, è passibile di denuncia e confisca dei documenti, unico strumento che permette loro di rimanere legalmente in Libano. Per questo molti rifugiati evitano di recarsi in cliniche e ospedali, per il timore di venire segnalati.
Una limitazione significativa alla possibilità di lavorare a giornata che si aggiunge ai motivi per cui le uscite sono autorizzate: per andare in farmacia o al supermercato. Simile la situazione nella città di Kfarhabou, nel nord del Paese dei Cedri: qui il coprifuoco per i siriani entra in vigore alle 3 del pomeriggio e si conclude alle 7 del mattino. A Darbaashtar è vietato ai siriani lasciare le proprie case o ricevere visite. E in almeno 18 comuni nella Valle della Bekaa, al confine con la Siria dove vivono un terzo dei rifugiati siriani in Libano, sono state prese misure diverse: nel caso di Bar Elias ogni famiglia di rifugiati deve scegliere una persona a cui affidare i propri bisogni fondamentali e coordinare i propri movimenti con il comune.
“Non esiste alcuna prova che coprifuoco extra per i rifugiati siriani aiuteranno a limitare il diffondersi del Covid-19 – spiega Nadia Hardman, ricercatrice per Hrw – Il coronavirus non discrimina e per limitarne l’impatto è necessario assicurarsi che tutti possano accedere a centri di diagnosi e trattamento”. L’effetto delle misure dei vari comuni va nella direzione opposta: Oxfam ha denunciato la mancanza di informazioni fornite ai rifugiati su come comportarsi per limitare i contagi e un sondaggio del Norwegian Refugee Council ha mostrato come l’81% dei profughi non sa dell’esistenza di un numero verde del Ministero della Salute per i casi di coronavirus.
Un elemento che si unisce allo scarso accesso al sistema sanitario e all’atmosfera di discriminazione che li circonda, indicati come unici possibili untori. Nena News