Tre palestinesi sono stati uccisi negli scontri a fuoco divampati ieri nel più grande dei campi profughi palestinesi del Paese dei Cedri
della redazione
Roma, 22 dicembre 2016, Nena News – Non cessano le violenze nel campo profughi palestinese di Ain al-Hilweh nei pressi di Sidone (Libano). Ieri 3 palestinesi sono stati uccisi (4 i feriti) nel corso di una sparatoria durata alcune ore. Secondo quanto riferiscono i media locali, due palestinesi, Mahmoud Abdel Karim Saleh e Mahmoud Ibrahim Abu al-Yaman, sono morti negli scontri a fuoco divampati dopo l’“assassinio” di Samer Hadid. La situazione è rimasta tesa per molte ore: alle 4 di pomeriggio si sentivano ancora colpi di spari all’interno campo, nonostante i tentativi delle varie fazioni palestinesi di giungere ad una tregua
Ain al-Hilweh è il più grande campo profughi palestinese in Libano ed è abitato ufficialmente da 54.000 rifugiati, molti dei quali giunti nel Paese dei Cedri in seguito alla fondazione dello Stato d’Israele nel 1948. Sebbene già sovraffollato, il campo ha visto la sua popolazione aumentare rapidamente dopo lo scoppio della guerra civile in Siria e il conseguente arrivo di migliaia di rifugiati (soprattutto palestinesi siriani): secondo l’organizzazione Anera, la popolazione attuale ad Ain al-Hilweh è di 120.000 persone. Da tempo l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) denuncia le condizioni di vita insostenibili nel campo a causa dell’alto tasso di povertà, delle scarse condizioni abitative e delle infrastrutture inadeguate o assenti. Problemi che la crescita demografica incontrollata ha solamente aggravato.
In questo quadro di profonda povertà e marginalizzazione sociale, si inseriscono poi i dissidi interni tra le varie anime politiche del popolo palestinese. I ripetuti scontri tra gruppi palestinesi ad Ain el-Helwe avevano indotto a novembre l’esercito libanese ad annunciare la costruzione di un muro di cemento alto diversi metri con torri di guardia. Un muro che ufficialmente dovrebbe impedire che i ricercati, specialmente i jihadisti in fuga, trovino rifugio nel campo ma che ben rappresenta la condizione degli oltre 400mila rifugiati palestinesi in Libano, di fatto segregati nei loro campi, esclusi da decine di lavori, costretti a sopravvivere grazie agli aiuti umanitari internazionali e locali. Secondo i piani, la barriera, progettata nei mesi scorsi, doveva essere completata in 15 mesi. Tuttavia, qualche giorno dopo l’annuncio, l’esercito ha fatto dietro front e al momento la costruzione del muro è sospesa.
A distanza di nove anni dalla distruzione del campo profughi palestinese di Nahr al Bared (Tripoli), rimasto per mesi sotto il fuoco dell’artiglieria dell’esercito libanese intenzionato a stanare i jihadisti di Fatah al Islam che vi si erano rifugiati, anche Ain el Helwe paga il conto della penetrazione di gruppi di islamisti radicali che approfittano del vuoto di sicurezza che regna nel campo profughi.
Le formazioni palestinesi, a cominciare da Fatah, hanno provato senza successo ad impedire che i jihadisti creassero delle basi nel campo. E in questi ultimi tempi non sono mancati gli scontri a fuoco con morti e feriti. Nel giugno 2015 uno dei leader di Fatah, Talal Balawna, fu assassinato da “sconosciuti”, un’uccisione che ha anticipato gli scontri armati di due mesi tra Fatah e JundalSham, andati avanti per più di una settimana.
Jundal Islam da allora ha fatto il bello e il cattivo tempo ad Ain al Hilwe, fino all’arresto due mesi fa da parte dell’intelligence libanese del suo fondatore, Imad Yasmin, che è anche un leader dello Stato Islamico. Un clima di cui i profughi sono le vittime e che ha contribuito ad alimentare la propaganda dei tanti che libanesi che considerano i campi palestinesi un “problema” da risolvere anche con le maniere forti. Nena News