La chiusura dei rapporti con il Qatar potrebbe essere solo la dimostrazione più evidente di una strategia di ridefinizione degli equilibri di potenza mediorientali da parte dell’Arabia Saudita. Le conseguenze di questo processo, ancora in fase iniziale, potrebbero ricadere sulle politiche interne e le relazioni internazionali di tutti i Paesi dell’area mediorientale e nord-africana
di Francesca La Bella
Roma, 13 giugno 2017, Nena News - La rinnovata intraprendenza saudita scaturita nella chiusura dei rapporti economici e diplomatici con il Qatar parla a tutto il Medio Oriente e il Nord Africa. Le pesanti accuse contro Al Jazeera, la richiesta di interrompere finanziamenti e legami con Fratellanza Musulmana e Hamas e la condanna del presunto sostegno di Doha al terrorismo in Siria non costituiscono, infatti, solo un atto di accusa contro la politica qatarina, ma sono sintomo della volontà saudita di imporsi come giudice di tutte le questioni dell’area. L’immediato sostegno di alcuni Paesi alla presa di posizione di Ryad, inoltre, contribuisce alla creazione di una stabile rete di alleanze tra Paesi che, per interdipendenza economica o per comuni obiettivi diplomatici, muovono nella stessa direzione strategica. Il rafforzamento dei rapporti tra Egitto e Arabia Saudita avrà, infatti, inevitabili conseguenze sul bilanciamento di poteri all’interno dello stato libico così come la scelta di alcuni Paesi del Golfo, come il Bahrain e gli Emirati Arabi Uniti, di porsi al fianco dei sauditi potrebbe portare ripercussioni sia nei rapporti tra membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo sia all’interno dei singolo Paesi.
In quest’ottica, la scelta di Ryad ha portato la maggior parte dei Paesi dell’area a schierarsi a favore di uno degli assi che attraversano la regione. Mentre il Kuwait si propone come mediatore del conflitto e il ministero dell’informazione giordano revoca la licenza di trasmissione nel Paese ad Al Jazeera, nella logica del nemico comune, si rinsalda il già rodato rapporto tra Iran, Siria ed Hezbollah, e la Turchia, con una mossa diplomatica perentoria, sceglie di porsi al fianco del Qatar. Così, ciò che, a prima vista, potrebbe apparire come una grave, ma comunque circoscritta, crisi diplomatica tra due Paesi concorrenti diventa il veicolo di un mutamento radicale dell’ordine mediorientale.
Le possibili cause sono diversificate: dalla consacrazione dell’Arabia Saudita come alleato d’area da parte del nuovo Presidente statunitense Donald Trump agli strascichi bellici di quella Primavera Araba osteggiata con armi e propaganda da Ryad. Jamal Elshayyal dalle colonne di Middle East Eye, invece, identifica nelle velleità di potere del Principe Mohammed Bin Salman la radici di questa azione. Secondo il giornalista “è una convinzione comune che, per essere monarca in Arabia Saudita, bisogna assicurarsi la benedizione di tre principali attori: la casa di Saud, l’establishment religioso e gli Stati Uniti d’America”. La volontà, dunque, del Ministro della difesa di accreditarsi in patria e all’estero come legittimo erede al trono.
Allo stesso modo molti commentatori sottolineano come l’Iran sia il vero obiettivo di questo cambio di marcia. La creazione, dunque, di un fronte compatto contro Teheran, Paese simbolo dell’asse sciita e principale avversario dell’Arabia Saudita nei teatri di conflitto d’area. Ad evidenza della crescente tensione tra i due Paesi e della stretta relazione con il ruolo statunitense nella regione si leggano le dichiarazioni ufficiali rilasciate dalle guardie rivoluzionarie iraniane (IRGC). Secondo quanto riportato dal britannico Guardian, in un comunicato diffuso all’indomani degli attacchi dello Stato Islamico a Teheran, le IRGC avrebbero, infatti, affermato che ”questa azione terroristica, che arriva una settimana dopo la riunione del presidente degli Stati Uniti con il leader di uno dei governi reazionari della regione dimostra che sono coinvolti in questa azione selvaggia”.
Il progetto saudita potrebbe, però, avere ambizioni ben maggiori della semplice sommatoria di questi fattori. Laddove sia sul terreno di battaglia, come in Yemen, sia in campo economico, con il congelamento della produzione petrolifera in seno all’Opec, il tentativo di Ryad di sopravanzare le posizioni iraniane è risultato pressoché inefficace, la strategia saudita degli ultimi anni sembra più diretta ad obbligare gli alleati alla fedeltà che a combattere i nemici. In vista di una fase post-conflittuale sia in Siria, dove lo Stato Islamico perde progressivamente terreno, sia in Libia, dove continua a mancare una figura che riesca a tenere insieme le diverse istanze politiche, l’obiettivo saudita potrebbe essere quello di spostare il baricentro decisionale d’area nel Golfo Persico obbligando le potenze regionali e internazionali ad una scelta di campo pro o contro Ryad senza possibilità di una terza via.
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra