Il nuovo Egitto di Abdel Fattah al-Sisi sembra aver intrapreso la strada del suo ex predecessore, Hosni Mubarak. Grazie a un vuoto istituzionale che gli ha permesso di attribuirsi il potere esecutivo, il presidente sta mettendo a punto i nuovi assetti amministrativi portando avanti delle politiche non proprio democratiche
di Mattia Giampaolo
Roma, 20 aprile 2015, Nena News - Nonostante la possibilità di un intervento di terra da parte delle truppe egiziane in Yemen, il nuovo regime non sembra per nulla intenzionato ad abbassare la guardia sul fronte interno. Dopo la Conferenza Economica (Al-Mu’tamar al-’Iqtisadi), tenutasi a Sharm al-Sheykh lo scorso mese, Al-Sisi sta preparando il terreno per la riorganizzazione dell’opposizione.
Il primo passo, che proprio in questi giorni il governo sta affrontando, è la modifica (visto che il primo progetto è stato considerato incostituzionale) della nuova legge elettorale che regolerà le tanto attese elezioni parlamentari. A proposito di ciò, visto l’assenza di un parlamento eletto e i continui rinvii delle elezioni parlamentari, molti giornali delle opposizioni, su tutti il portale di informazione Madamasr, si stanno chiedendo se il nuovo regime abbia una reale volontà a costituire un parlamento. Visti i numeri e l’importanza delle leggi redatte (si parla di circa di 310 leggi redatte nel 2014) sembra che il nuovo Raìs stia preparando il campo per una svolta che agli egiziani, dopo solo quattro anni dalla caduta di Mubarak, non è nuova.
Muhammad Abu Ghar (Partito Social Democratico) ha affermato in un’intervista che “Il presidente non vuole che si costituisca il parlamento. Il rinvio delle elezioni parlamentari è stata una scusa per redigere leggi incostituzionali che limitano le libertà di dissenso e che stanno trasformando l’Egitto in uno stato di polizia”.
Il primo segnale della svolta mubarakiana di Al-Sisi arriva proprio dalla stesura della legge elettorale. Criticata dalla maggior parte dei partiti politici, questo progetto di legge contiene alcuni punti che lasciano intendere la volontà del regime di limitare il più possibile i partiti politici. Uno di questi punti è relativo al numero dei seggi riservati alle liste dei partiti e quelli per i candidati indipendenti. Questo sistema era già stato usato durante l’era Mubarak e la candidatura degli indipendenti (la maggior parte erano uomini d’affari) risultò molto efficiente per il partito di Mubarak in termini di numeri; molti di essi, infatti, andarono a far parte della già cospicua maggioranza una volta seduti in parlamento.
Quello che la nuova legge elettorale prevede è un alto numero di seggi riservati agli indipendenti (si parla di circa 442 seggi su 562) e questo non fa nient’altro che indebolire la già tramortita opposizione.
Infatti dopo la messa al bando del Movimento dei Fratelli Musulmani, l’opposizione che ne rimane non ha un’organizzazione interna che le permetterebbe di sfidare i nuovi uomini del regime nascosti tra le fila degli indipendenti.
La scelta di lasciare ‘ampio spazio ’ alle candidature indipendenti è giustificato inoltre dalla mancanza di una struttura politica (si ricordi il PND di Mubarak) che consenta al regime di avere una super maggioranza all’interno del parlamento e quindi, la ricostruzione del network clientelare tra regime e uomini d’affari potrebbe tornare di nuovo utile.
Al-Sisi potrebbe puntare, dunque, su potenti uomini del business che, date le disponibilità economiche, si aggiudicherebbero un ampio numero di voti. Tutto ciò non fa ben sperare per il futuro del nuovo Egitto post- Mubarak (e Mursi!). Nonostante l’interim istituzionale non si sia concluso, ciò che si scorge è che il regime di Al-Sisi è indirizzato sempre più verso politiche che somigliano a quelle del regime di Mubarak. Nena News