I risultati definitivi della votazione parlamentare nel Kurdistan iracheno sono stati resi ufficiali nonostante le denunce di brogli. La pubblicazione non ha posto fine alle polemiche e grande instabilità si profila all’orizzonte
di Francesca La Bella
Roma, 29 Ottobre 2018, Nena News - A tre settimane dal voto per le elezioni parlamentari del governo del Kurdistan iracheno, la commissione elettorale ha, il 21 ottobre, pubblicato i risultati definitivi della votazione. Risultati che sanciscono la vittoria degli attuali rappresentanti del governo, Partito democratico del Kurdistan (Kdp) primo con 688.070 voti e 45 seggi e Unione patriottica del Kurdistan (Puk) secondo partito con 319.219 voti e 21 seggi, ma che vengono fortemente contestati dalle opposizioni.
Se il ritardo nell’ufficializzazione dei dati è da imputare alle denunce di frodi ed ai conseguenti ricorsi presentati nel corso dello spoglio (1045 in tutto), il dibattito sulla legittimità del voto non si è sopito nemmeno dopo la pubblicazione. L’approvazione dei risultati finali è stata ottenuta con una stretta maggioranza, 5 contro 4, e i commissari contrari così come le opposizioni si sono rifiutati di riconoscere l’esito del voto fino a giungere alla minaccia di non riconoscimento del nuovo parlamento regionale.
La tensione, percepita già durante la campagna elettorale, non sembra essersi placata a seguito delle votazioni e sembra agire su due diversi piani. Da un lato, a seguito del disastroso referendum per l’indipendenza dello scorso anno e delle successive dimissioni di Masoud Barzani, il Krg è sembrato vagare senza guida, incapace di fare fronte alle pressioni internazionali e ai bisogni della popolazione. Le opposizioni, di diversa provenienza politica e con differenti programmi, hanno provato a canalizzare questa insoddisfazione e a cavalcare la rabbia della popolazione per gli scandali legati alla corruzione e per l’economia in lento e progressivo deterioramento.
Nonostante la bassa affluenza sia da considerarsi indice di un certo grado di scontento, i risultati elettorali sembrano smentire questa distanza tra gli elettori e il governo e se, dal governo, questo viene vissuta come una conferma di essere sulla giusta strada, le opposizioni denunciano con sicurezza la non validità del voto.
La netta discrepanza tra le aspettative delle opposizioni e di buona parte degli elettori e la conformazione del nuovo parlamento potrebbe, dunque, portare ad una nuova stagione di proteste e di instabilità. A fronte di una situazione d’area che permane critica, la stabilità del Krg, fino ad ora garantita dai proventi del petrolio e dalle iniezioni di liquidità provenienti da Turchia e Stati Uniti, sembra impossibile da ricostruire nel breve periodo. La disputa intorno al referendum e le politiche successive hanno, infatti, mostrato il volto più fragile del governo spezzando il legame di fiducia tra questo e la popolazione.
Esiste, poi, un secondo piano di tensione completamente interno alla dirigenza politica, ma non per questo meno pericoloso dal punto di vista della tenuta dell’ordine democratico della regione. Il Krg è diviso politicamente e geograficamente tra il Kdp, nell’area di Erbil a nord, e il Puk, che ha il suo quartier generale a Suleymania nella parte meridionale della regione. A differenza della precedente stagione politica in cui la mediazione tra le parti sembrava essere la prima scelta in tutte le principali questioni nazionali, questo ultimo anno ha registrato una crisi dei rapporti tra i due partiti. Evidenza di questo dissidio è stata la campagna per l’elezione del presidente della Repubblica irachena al quale Kdp e Puk si sono presentati divisi e la vittoria del candidato del Puk, Bahram Salih. In questo senso, secondo molti analisti, la regione potrebbe vedere il ritorno di due leadership tra loro in conflitto come avveniva fino al 1998, anno della firma ufficiale di fine ostilità tra Puk e Kdp.
Per quanto l’accordo tra i partiti abbia a lungo garantito alle dirigenze di alimentare un sistema corrotto, nepotista ed escludente rispetto a qualsiasi altra forza politica, una crisi di questa “alleanza” potrebbe non essere un giovamento per la popolazione e per le opposizioni. Le due leadership, a seguito della morte del presidente storico del Puk Jalal Talabani e la sconfitta del referendum per Masoud Barzani, risultano, infatti, sempre più deboli, staccate dalla propria popolazione ed incapaci di ricollocarsi nello scacchiere internazionale e d’area, ma non per questo meno interessate a difendere i propri interessi di elite dominante.
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra