Gli Usa non sostengono l’avanzata delle truppe irachene nella città natale di Saddam, ufficialmente per il timore di un acuirsi dei settarismi. Gli stessi riaccesi con l’occupazione statunitense. A combattere c’è l’Iran.
della redazione
Roma, 5 marzo 2015, Nena News – La controffensiva di Tikrit mette a nudo i rapporti tesi tra Washington e Baghdad e svela una volta di più l’inefficacia della strategia anti-Isis della coalizione guidata dagli Usa. Che strepita e bombarda, quando e dove vuole, ma poi non pare voler sostenere gli sforzi iracheni sul terreno. Forse perché, se Obama gli stivali dei suoi marine sul terreno non li vuole poggiare, gradisce poco che ci siano quelli iraniani.
La battaglia per la ripresa di Tikrit è già in stallo e a preoccupare è il possibile acuirsi dei settarismi interni al paese, stritolato dalle divisioni etniche e religiose. A combattere a fianco delle truppe governative, infatti, ci sono i peshmerga, i pasdaran iraniani, ma anche miliziani sciiti e sunniti, provenienti dalle tribù che si oppongono all’Isis. Dall’altra parte, a “difendere” la città natale di Saddam Hussein occupata dal califfato mesi fa non ci sono solo i miliziani di al-Baghdadi. Ci sono anche sunniti iracheni che in Tikrit vedono il simbolo del potere che fu, quello esercitato durante il regime di Saddam, e di quello che potrebbe essere: non è un mistero che ex membri del partito Baath, generali e fedelissimi di Hussein e tribù sunnite abbiano ben accolto l’arrivo dell’Isis, visto come il migliore strumento per scardinare il governo sciita imposto dagli Usa e riprendersi il controllo dell’Iraq.
Ufficialmente, dicono a Washington, è questo a preoccupare Obama: la ripresa di Tikrit potrebbe riaccendere le mai sopite tensioni settarie. “È importante che questa operazione non sia utilizzata come scusa o come copertura individuale per operazioni motivate dai settarismi – ha detto mercoledì il portavoce della Casa Bianca Earnest – Questo farebbe crollare tutta la fabbrica del paese e indebolirebbe la capacità degli iracheni di confrontarsi con chi li minaccia”.
Il timore di settarismi è fondato: in corso a Tikrit c’è una guerra civile, iracheni contro iracheni, sunniti e sciiti contro altri sunniti. Dietro, la longa manus iraniana che non manca di essere presente con il generale Suleimani e le Guardie Rivoluzionarie per gestire l’operazione. Che sembra però già bloccata: Baghdad ne imputa la colpa all’alleato statunitense che non sta muovendo un dito, o un drone, per sostenere l’avanzata irachena. Gli Usa dicono per la presenza iraniana (“Ci sono di mezzo anche forze iraniane. Abbiamo detto fin dall’inizio che gli Stati Uniti non si coordineranno militarmente con l’Iran”, ha detto Earnest), ma in passato la partecipazione di Teheran non è stato un ostacolo all’azione di Washington.
Secondo Baghdad c’è di più: ad Obama non è andato giù che l’operazione per riprendere Tikrit non sia prima stata coordinata con gli Stati Uniti che non hanno dato alcun autorizzazione all’attacco. E, soprattutto, che sia stata coordinata con Teheran, presente con l’artiglieria, i lanciatori di razzi, i droni di sorveglianza. Per il governo di al-Abadi è la reazione allo smacco di Mosul: nelle scorse settimane Washington ha dettato i tempi della controffensiva sulla seconda città irachena smentendo pubblicamente il premier Al-Abadi, che da parte suo è furioso per la lentezza dell’azione Usa. Il consigliere di al-Abadi, Ali al-Alaa è stato chiaro: “Siamo stufi che gli americani continuino a procrastinare la liberazione del paese. L’Iraq libererà Mosul e Anbar, anche senza di loro”. Nena News