A 22 giorni dall’ultimatum alla comunità palestinese, la comunità è temporaneamente salva. Netanyahu insiste: “Evacuaremo”. Ma sul tavolo torna il master plan presentato dal villaggio beduino
della redazione
Roma, 22 ottobre 2018, Nena News – Demolizione rinviata: il villaggio beduino palestinese di Khan al-Ahmar segna un’altra vittoria, seppur “a tempo”. Ieri il governo israeliano, da mesi impegnato nel tentativo di distruggere le case dei 181 abitanti, membri della tribù Jahalin, e di trasferirli in container vicino la cittadina di al-Azariya, ha annunciato il congelamento della demolizione per “un periodo fisso di tempo”. A dirlo è stato lo stesso primo ministro Netanyahu, dopo un incontro con il segretario Usa al Tesoro, Steven Mnuchin.
Un congelamento di alcune settimane che non significa un ripensamento: “Questa è la decisione della corte – ha detto il premier israeliano riferendosi alla sentenza della Corte Suprema israeliana che ha dato il via libera alla demolizione del villaggio, rigettando i ricorsi dei suoi residenti – Questa è la nostra politica e sarà implementata. Non ho intenzione di posporla a data da destinarsi come è stato scritto, ma per un periodo di tempo breve e preciso. La durata sarà decisa dal consiglio dei ministri e compiremo diverse mosse preparatorie nell’arena internazionale. Ma in ogni caso Khan al-Ahmar sarà evacuata. Non sto parlando di un’evacuazione cosmetica ma di una vera evacuazione”.
L’annuncio è arrivato a poche ore dalla rivelazione del quotidiano israeliano Haaretz che aveva anticipato la sospensione della distruzione della comunità, a data da destinarsi. Il governo è più cauto e parla, in un comunicato, di voler “dare un’occasione al negoziato e alle offerte ricevute da diversi enti, anche negli ultimi giorni”.
Ieri sera è stato il ministro della Difesa israeliano Lieberman a fornire un altro tassello: è stato il procuratore generale di Israele, Avichai Mandelblit, a chiedere il rinvio della demolizione per ragioni legali. Si spera, ha aggiunto Lieberman, di trovare un compromesso con i residenti. Ma non mette in dubbio il trasferimento forzato, “un processo irreversibile”.
La posizione israeliana non è delle più comode: da una parte la volontà ferrea di liberarsi delle comunità beduine, rifugiate tra Gerusalemme e Gerico dopo la cacciata dal Negev dopo il 1948, per poter chiudere il corridoio di colonie che collegano la Città Santa al mega insediamento di Ma’ale Adumim; dall’altra la vasta protesta internazionale, che vede la partecipazione dei governi europei, consapevoli che quel corridoio porrà fine una volta per tutte alla possibilità di creare uno Stato di Palestina, perché taglierà in due parti discontinue la Cisgiordania.
Non solo. Lo scorso mercoledì la Corte Penale Internazionale, attraverso il suo capo procuratore Fatou Bensouda, ha avvertito Tel Aviv: “L’evacuazione forzata del villaggio e la distruzione di proprietà senza necessità militari in un territorio occupato costituiscono un crimine di guerra”.
Da cui il continuo rinvio della demolizione: il primo ottobre, secondo le autorità israeliane, scadeva l’ultimatum per i 181 residenti, ma il villaggio è ancora in piedi. Dietro sta una grande mobilitazione popolare: a Khan al-Ahmar vivono ormai da mesi attivisti da tutta la Palestina, stranieri e israeliani, per difendere con i corpi la comunità dalla demolizione. Venerdì la protesta è proseguita: due palestinesi sono stati arrestati, tra loro il giornalista Thaer Shawabkeh, e decine sono stati feriti dall’esercito, con spray al peperoncino e manganelli, mentre tre bullzoder militari cercavano di livellare la terra per prepararla alla demolizione.
E la protesta prosegue, nell’intenzione di veder stracciato l’ordine di demolizione e non semplicemente rinviato. Per quanto Khan al-Ahmar possa resistere, la pressione sui suoi abitanti e sui bambini che hanno nella sua Scuola di Gomme la sola possibilità di educazione è talmente forte da rendere sempre più difficile vivere una vita quasi normale.
Ora si guarda al rinvio con cautela: secondo l’avvocato del villaggio, Tawfiq Jabareen, Israele potrebbe tornare a valutare il piano presentato quest’estate, ovvero lo spostamento della comunità più lontano dall’autostrada di circa un chilometro e su terre che l’insediamento israeliano illegale di Kfar Adumim rivendica come proprie ma di proprietà del villaggio palestinese di Anata. Ovvero la proposta degli abitanti di Khan al-Ahmar che non intendono finire chiusi in una città dove perderebbero il loro tradizionale stile di vita. Nena News