Alle primarie di partito di mercoledì, il premier uscente israeliano si conferma per la terza volta consecutiva alla guida dello storico partito di destra. Sconfitti nettamente i rivali interni.
di Roberto Prinzi
Roma, 2 gennaio 2015, Nena News – Avrà sicuramente festeggiato ieri notte il premier uscente israeliano, Benjamin Netanyahu, quando, leggendo i risultati definitivi delle primarie di mercoledì, avrà letto i nomi finali che compongono la lista del Likud in vista delle legislative di gennaio. Una vittoria netta, inequivocabile che zittisce tutte quelle voci interne che, da più di un anno, hanno reso la vita difficile al primo ministro. Bibi, il “moderato” contro i palestinesi di Gaza. Bibi, il “docile” con i temibili rivali iraniani. Netanyahu ha subito i colpi che gli sono piovuti addosso da più frange interne non cadendo mai a tappetto, ma covando in cuor suo la vendetta. Aspettava con ansia queste primarie per fare piazza pulita. E aveva ragione. Il premier si è riconfermato per la terza volta di fila alla guida dello storico partito israeliano conquistando più dell’80% delle preferenze rispetto al suo sfidante Danny Danon.
Ma se questo risultato non ha sorpreso nessuno – né i media e né gli stessi membri del Likud – il dato per certi versi incredibile è il crollo dei suoi avversari. Netanyahu ha commentato la lista di partito definendola “fantastica”. Una gioia comprensibile la sua. Nelle prime posizioni, infatti, si sono posizioni nomi vicini al Premier: il ministro uscente degli Interni Gilad Erdan (terzo nelle primarie del 2012) e lo Speaker della Knesset [il Parlamento israeliano, ndr] Yuli Edelstein che hanno conquistato rispettivamente 36.287 voti e 33.900 voti. Un successo strepitoso soprattutto per Edelstein che nelle precedenti primarie si era classificato 12°. Quarto l’ex ministro dei Trasporti, Yisrael Katz, considerato un suo “fedelissimo”.
Al quinto posto Miri Regev. Conosciuta per le sue dure posizioni anti-arabe e contro gli immigrati, la vulcanica parlamentare e Gila Gamliel (quattordicesima) sono le uniche due donne nei primi 20 posti. Il grosso (e forse insperato) successo ottenuto da Regev – vicina a Gideon Sa’ar il rivale più accreditato di Netanyahu ma al momento ritiratosi dalla vita politica – è l’unica nota stonata per Netanyahu in una notte per lui dolcissima. Al sesto e settimo posto, infatti, ci sono i ministri uscenti dell’energia (Silvan Shalom) e della difesa (Moshe Ya’alon) che sono fedeli alleati del premier. Proprio il risultato positivo di Ya’alon deve essere letto come una sconfitta per i detrattori interni di Bibi. Il ministro è stato duramente criticato durante l’operazione “Margine Protettivo” della scorsa estate [oltre 2.000 i morti palestinesi, ndr] per non aver conquistato la Striscia di Gaza ed è stato spesso criticato per essere troppo indulgente in Cisgiordania. Molti commentatori prevedevano, pertanto, un suo tracollo alle primarie. Pronostico del tutto errato: Ya’alon non solo non è sceso di posizione, ma è addirittura migliorato di un posto rispetto alle scorse primarie. Malissimo lo sfidante Danny Danon – licenziato da Netanyahu dalla carica di vice ministro alla difesa durante l’attacco a Gaza – che scende rispetto alle scorse votazioni interne dal 6° al 10° posto.
Tredicesimo il ministro dell’Intelligence Yuval Steinitz. In fondo alla lista – con grosse probabilità di essere esclusi dalla prossima legislatura dove il Likud, stando ai sondaggi, dovrebbe ottenere 22-24 seggi – troviamo i due principali sconfitti delle primarie: Tzipi Hotovely e Moshe Feiglin. Un crollo clamoroso per entrambi: nelle scorse primarie Hotovely era stata eletta come la prima donna del partito classificandosi decima, mentre Feiglin (che guida la fazione della “leadership ebraica”) perde ben 13 posizioni classificandosi 28°. La sonora batosta ricevuta da entrambi – tra i likudnist più vicini ai coloni – segna la netta sconfitta della fazione più radicale del partito. Ancora da assegnare sono i posti 11 e 23 che saranno scelti da Netanyahu. Considerata la scarsa presenza nelle prime posizioni di candidati ortodossi e di quelli vicini al movimento dei coloni, Bibi potrebbe optare per due candidati che possano colmare questa lacuna cercando di limitare così la perdita di voti a causa degli elettori nazionalisti religiosi sempre più convinti a votare per “Casa Ebraica”.
Bibi ha pertanto ripreso in mano le redini del suo partito. Non senza difficoltà. Nel corso dell’ultimo anno, il premier ha dovuto affrontare una serie di iniziative del Comitato Centrale del Likud volte ad indebolirlo. Tra queste meritano di essere menzionati i tentativi di vietare una sua terza candidatura consecutiva alla leadership del partito e quelli che avrebbero permesso alla Commissione di rimuoverlo dalla guida del Likud se si fosse opposto ai diktat interni sui colloqui di pace.
La nuova lista non risolve la divisione ideologica interna al Likud tra i sostenitori dell’annessione della Cisgiodania e di chi, considerato “moderato”, sostiene (a parole) una soluzione a due stati. Si leggano i primi dieci nomi ad esempio: Edelstein, Regev, Katz, Elkin sono noti per essere contrari a qualunque stato palestinese in Cisgiordania. Sarebbe, pertanto, un errore definire semplicisticamente la vittoria di Netanyahu come il successo delle “colombe” del partito. Il fatto che siano stati sconfitti i “falchi” come Feiglin, non significa necessariamente che il partito – e il suo leader – si siano spostati verso il centro. Il Likud resta un partito fortemente di destra.
Quello che appare più probabile è che gli elettori più radicali del partito si identifichino sempre di più nei valori del partito nazional-religioso di Casa Ebraica di Naftali Bennet che in quello guidato da Netanyahu. Bennet appare nei sondaggi in forte ascesa e il forte aumento di tesserati che “il partito dei coloni” ha registrato nelle ultime due settimane (20.000 nuovi membri, 77.000 in totale dietro solo al Likud) sembra confermarlo. Ora questo dato delle primarie fornisce l’ennesimo elemento per credere che, se ci sarà un protagonista alle legislative del 17 marzo, quello potrebbe essere Bennet. Ma sebbene più moderato a parole a causa anche dell’alta carica politica che ricopre, Bibi non è altro che l’immagine istituzionale di Bennet, la sua versione “purificata” dagli isterismi dell’estrema destra necessaria per avere rapporti con gli alleati americani e europei. Qualcuno si ricorda, nella seppur breve scorsa legislatura, una dura presa di posizione del premier contro i dikat di Casa Ebraica per ciò che concerne l’attività coloniale nei territori palestinesi? Nena News