Scelta stamattina la data del 17, ma l’ufficialità sarà stabilita solo lunedì. Ieri Netanyahu ha scaricato i ministri Livni e Lapid per le continue critiche all’operato del suo governo e ha indetto elezioni anticipate. Kerry si augura che il prossimo governo “sia di pace”. Ma i sondaggi dicono che sarà sempre più di destra.
di Roberto Prinzi
Roma, 3 dicembre 2014, Nena News - I rappresentati dei partiti della Knesset [il parlamento israeliano, ndr] hanno stabilito stamattina, insieme al Presidente del Parlamento Yuli Edelstein, che la prossime legislative saranno il 17 marzo 2015. “Non possiamo approfittarci delle persone, non possiamo prenderci del tempo” ha detto Edelstein durante l’incontro. Prima che diventi ufficiale, questa data dovrà essere approvata dai parlamentari. Sarà votata nel tardo pomeriggio di oggi in prima lettura, mentre le decisive seconda e terza avranno luogo lunedì. Il voto di oggi dovrebbe essere scontato: passerà con il sostegno dei partiti rimasti all’interno della coalizione: Likud, Yisrael Beitenu e Casa Ebraica.
Non si sono fatte attendere molto le prime reazioni politiche. Ahmad Tibi, a capo del partito Ra’am Ta’al, ha subito confermato alla stampa che i partiti arabi si uniranno visto che lo sbarramento elettorale per entrare in parlamento è stato innalzato quest’anno dal 2 al 3,25%. “[Il ministro degli Esteri] Liberman, che ha aumentato la soglia, voleva sbarazzarsi dei partiti arabi. Questa situazione ci porta ad unirci perché le gente [la popolazione palestinese d’Israele, ndr] vuole una lista unica”. Proposta confermata anche dal leader di Balad. Nell’incontro di stamane Jamal Zahalka aveva chiesto di rimandare le elezioni a maggio così da dare ai gruppi arabi maggior tempo per organizzarsi. La richiesta è stata, però, bocciata.
E’ già in clima da campagna elettorale il premier uscente, Benjamin Netanyahu. “Le elezioni significano solo una cosa: chi sarà a guidare il Paese. Con le tante sfide che lo stato d’Israele deve affrontare, quelle relative alla sicurezza e all’economia, [lo stato ebraico] ha bisogno di un ampio partito di governo” – ha dichiarato il primo ministro che poi ha aggiunto – il Likud [la sua compagine politica, ndr] è l’unico partito che può fare tutto ciò”. La bagarre elettorale è già entrata nel vivo. A rispondergli, infatti, è stato il leader labour Isaac Herzog. “Noi siamo una alternativa [a Netanyahu]. Saremo noi i vincitori di queste elezioni” ha dichiarato durante un incontro di partito. Secondo Herzog “i sei anni negativi di Netanyahu sono finiti. I laburisti formeranno il prossimo governo. La gente d’Israele merita una leadership più responsabile”.
Dunque ci si avvia rapidamente alla fine della 19esima legislatura (durata solo due anni). Una fine scontata per un governo affastellato di estrema destra con qualche voce “centrista” a fare da foglia di fico con la comunità internazionale. Il benservito dato ieri dal premier ai ministri “moderati” delle Finanze (Lapid) e della giustizia (Livni) è stato l’atto finale, logico ed inevitabile di un governo mai veramente unito. In un aggressivo discorso televisivo Netanyahu non le ha mandate a dire accusando i suoi ex alleati di coalizione di aver ordito un “putsch” contro di lui, di essere troppo deboli nel difendere la “capitale” Gerusalemme, l’“ebraicità dello stato” e accondiscendenti con i “nemici”: Iran e palestinesi.
Secondo Bibi, infatti, Lapid avrebbe minato “la politica combattiva israeliana contro il programma nucleare iraniano” criticando la sua decisione di boicottare il discorso del Presidente iraniano Hassan Rouhani all’Assemblea generale dell’Onu. Ma, ha aggiunto furioso, il ministro delle finanze ha anche minato le politiche del governo che chiedevano all’Autorità palestinese di riconoscere Israele come “stato ebraico”. Una clausola non necessaria secondo quanto l’ex giornalista aveva dichiarato in una intervista.
Che i rapporti, invece, con la ministra Livni non fossero idilliaci era un segreto di Pulcinella. La titolare del dicastero di giustizia aveva accusato il premier di “irresponsabilità” quando il governo aveva annunciato di costruire altre 1.000 unità abitative nei “quartieri” di Gerusalemme est (colonie secondo la comunità internazionale). Ieri il Premier si è voluto togliere i sassolini dalla scarpa: “Livni è l’ultima che può fare la predica su cosa sia la responsabilità. Lo scorso maggio ha incontrato [il Presidente palestinese] Abbas contraddicendo del tutto, sia un mio esplicito ordine, sia la decisione presa dall’esecutivo che le aveva imposto di non incontrarlo in quel periodo. In seguito ha continuato a dire, mentre era ancora ministro della giustizia, che ‘il boicottaggio operato da Netanyahu di Abbas è stupido’. Oggi ha attaccato nuovamente il governo sotto la mia leadership”.
Le reazioni bellicose dei due ministri non sono tardate ad arrivare. Il leader di Yesh Atit, Yair Lapid, ha attaccato il premier per lo “sperpero di miliardi” sottolineando come le nuove elezioni costeranno 2 miliardi di shekel (500 milioni di dollari). Intervenendo a Tel Aviv ad una conferenza sull’utilità dell’Energia, ha ribadito (in toni populistici) la sua ricetta economica: destinare miliardi di shekel all’educazione, alla salute, al welfare, alla sicurezza pubblica, dando alle giovani coppie sgravi fiscali di 200.000 shekel (50.000 dollari) per i nuovi appartamenti (il suo cavallo di battaglia rivelatosi, al momento, fallimentare).
La leader di HaTnu’a, Tzipi Livni, ha affermato, invece, che le prossime elezioni stabiliranno se Israele è “un paese estremista o sionista”. Per Livni le imminenti legislative vedranno contrapporsi un campo sionista a partiti estremisti e pericolosi a cui deve essere impedito di distruggere Israele. “Può il campo centrista rappresentare una alternativa realistica per rimpiazzare il governo in Israele?” si è domandata la (ex) ministra. Secondo lei sì, ma “per farlo dobbiamo unite tutte le forze e presentare tale alternativa che, ovviamente, dipende da me”.
La caduta del governo Netanyahu è stata commentata anche dal Segretario di Stato statunitense, John Kerry. “Speriamo che il futuro governo potrà negoziare e risolvere le differenze tra israeliani e palestinesi e, chiaramente, quelle della regione” ha detto Kerry dal quartiere generale della Nato a Bruxelles,
Parole di circostanze perché il governo che nascerà sarà ancora più a destra e, quindi, meno disposto al negoziato con i palestinesi. I sondaggi dei canali televisivi israeliani, infatti, attribuiscono al Likud di Netanyahu 22 seggi, 17 a Casa Ebraica di Bennet (+5 rispetto alla tornata del 2013) e 12 a Yisrael Beitenu. Escono indeboliti Yesh Atid (che crolla dai 19 seggi attuali a 9) e HaTnu’a (che rischia di non superare lo sbarramento del 3.25%) I laburisti e la sinistra sionista confermano, al momento, il trend delle scorse elezioni rispettivamente con 13 e 7 seggi. La sorpresa delle prossime legislative potrebbe essere l’ex likudnist Kahlon che godrebbe già di un discreto sostegno (stimato sui 10 seggi). Sebbene ora strizzi l’occhio all’elettorato centrista e qualche commentatore parli di una possibile grande centro a cui potrebbe unirsi, Kahlon resta un falco. E questo Netanyahu lo sa bene. Nena News