I supporter della principale squadra di Gerusalemme, noti per essere di estrema destra, hanno trovato un nuovo bersaglio: il giocatore Ali Mohammad acquistato recentemente dal club. A “salvarlo”, però, potrebbe essere il fatto che è cristiano e non musulmano
di Roberto Prinzi
Roma, 11 giugno 2019, Nena News – Ci risiamo: la tifoseria di estrema destra della squadra di calcio israeliana dello Beitar Jerushalaim è tornata a minacciare la società. No, non sono i deludenti risultati sportivi della stagione calcistica appena trascorsa a far schiumare di rabbia i supporter gialloneri. La “colpa” è l’acquisto da parte del club di un calciatore dal nome “che sembra” musulmano. Inaccettabile per una squadra e tifoseria che con i musulmani e gli arabi storicamente non ha voluto niente a che fare al punto da dichiararsi “orgogliosamente pura” qualche anno fa.
La vittima di questa storia di ordinario razzismo si chiama Ali Mohammed: è di origine nigeriana (fortuna per lui che non sia arabo) ed è stato acquistato dal Beitar per 2,5 milioni di dollari dal Maccabi Netanya. Fin qui una normalissima notizia di calciomercato che, come accade anche in Europa, anche in Israele sta registrando nelle ultime settimane i primi trasferimenti di calciatori.
Ma in Israele nulla può essere considerato normale perché tutto è estremamente politicizzato e polarizzato, soprattutto quando c’è di mezzo qualcuno che ha un nome o cognome vagamente “arabo”. E così è stato anche per Mohammad. Il suo acquisto ha scatenato le proteste dei tifosi contro il presidente del club, Moshe Hogeg, reo di aver osato “sporcare la purezza” del prestigioso club gerosolomitano. Proteste che, ha raccontato il proprietario, si sono trasformate in minacce telefoniche.
Per ora Hogeg si mostra sicuro e inflessibile: il suo nuovo acquisto, ha assicurato, resterà nella rosa del Beitar la prossima stagione. “Il 99% delle reazioni è stato positivo, incoraggiante e meraviglioso” – ha detto il presidente al Canale 12 della tv israeliana – ci sono state solo delle risposte problematiche. Ma chi se ne importa di che religione sia [il giocatore]? E’ un grande giocatore e perciò la questione è irrilevante”.
Questa volta la dirigenza giallonero potrebbe riuscire a spuntarla sui tifosi considerato che il gruppo ultrà più importante – “La Familia” – ha dato luce verde all’acquisto “dopo infinite indagini e controlli circa l’identità del giocatore”. “Annunciamo che non abbiamo problemi con lui dato che è un cristiano devoto” ha detto il gruppo. Insomma, nessuna onta per il club che può continuare ad essere orgogliosamente razzista, pardon, puro: il sangue del calciatore non è infatti islamico per cui non c’è motivo per boicottarlo.
Tuttavia, non è tutto rosa e fiori perché un problema di non piccolo conto resta anche per La Familia: quel nome “Mohammad” sa troppo di Islam. “Con questo [nome] abbiamo un problema” ha ammesso candidamente il gruppo. E se c’è un problema, deve essere necessariamente risolto: “Faremo in modo che il suo nome venga cambiato, così da non ascoltare Mohammad allo stadio [del Beitar] Teddy”.
La vicenda di Ali Mohammed è l’ennesima pagina nera dei tifosi del Beitar. Nel recente passato, infatti, più volte i supporter gialloneri sono stati al centro delle cronache locali: sei tifosi de La Familia parteciparono nell’estate del 2014 al rapimento, uccisione del giovane palestinese di Gerusalemme est Mohammad abu Khdeir; nel 2012 i supporter gialloneri (non solo quelli de La Familia) assaltarono il centro commerciale di Malha e, al grido di “morte agli arabi”, aggredirono i lavoratori palestinesi. E furono sempre loro ad andare su tutte le furie nel 2013 quando il club osò acquistare due giocatori musulmani, Zaur Sadayev and Dzhabrail Kadiyev. Non “arabi”, ma ceceni. Una storia su cui è stato prodotto un documentario “Forever Pure” disponibile sulla piattaforma Netflix.
E non meglio si sono comportati importanti tesserati del club: durante il caos generato dall’acquisto di Sadayev e Kadiyev, l’allora allenatore Eli Cohen, nel tentativo di stemperare gli animi dei tifosi della sua squadra, arrivò addirittura ad affermare che “tra un musulmano europeo e un arabo musulmano ci sono delle differenze”. Il suo successore Guy Levi, invece, spiegò nel 2015 che non avrebbe permesso l’acquisto di un calciatore “arabo” (ovvero di un palestinese cittadino d’Israele) perché ciò “aumenterebbe le tensioni” con i fan della squadra. “Non penso che sia arrivato il momento giusto [per farlo], creerebbe solo danni. Anche se ci dovesse essere un giocatore [palestinese] adatto professionalmente, non lo prenderei per evitare inutili tensioni”.
Ma di fronte agli evidenti episodi di razzismo e violenza della tifoseria e alle coperture più o meno velate della proprietà (al di là della retorica ufficiale), resta da chiedersi cosa abbiano fatto e facciano la Federcalcio israeliana (Fci) e le autorità locali per fermare questo fenomeno. Né l’Uefa e Fifa hanno preso provvedimenti punitivi contro la Fci che, anzi, continua a partecipare alle qualificazioni agli europei (scelta bizzarra visto dove si trova Israele) e mondiali. Del resto c’è poco da restare sorpresi: la stessa Uefa e Fifa – che da anni portano avanti campagne (pubblicitarie) contro il razzismo e si dicono “preoccupate” per gli ostacoli e le difficoltà che il calcio palestinese deve subire a causa delle restrizioni imposte da Israele – non hanno mosso un dito per cambiare la situazione sul terreno sanzionando la Fci. Anzi, hanno persino premiato lo stato ebraico con l’assegnazione dell’Europeo Under 21 nel 2013.
Al momento, comunque, Alì Mohammad è un nuovo giocatore del Beitar. Ma la stagione è ancora molto lunga. Nena News