Con 60 voti contro 59 il tandem Bennett-Lapid ottiene la fiducia della Knesset. Una maggioranza risicata di otto partiti, dalla sinistra sionista agli ultranazionalisti, con le stesse politiche del predecessore. Che aspetta il primo passo falso
della redazione
Roma, 14 giugno 2021, Nena News – Benyamin Netanyahu non l’ha presa bene. Nessuna stretta di mano con l’ex delfino che ha messo fine a 12 anni ininterrotti da primo ministro, il colono nazionalista che Bibi ha portato nel governo sfruttando al massimo i consensi che aveva saputo raccogliere a destra. Ieri Naftali Bennett ha giurato come premier dopo aver ottenuto la fiducia della Knesset, per un soffio, e oggi nella cerimonia ufficiale di passaggio dei poteri avrebbe dovuto ricevere la stretta di mano di Netanyahu. Che non c’è stata.
In compenso su Twitter l’ormai ex primo ministro ha promesso di tornare presto sulla cresta dell’onda: “Non lasciate che il vostro spirito si incupisca. Torneremo, più velocemente di quanto pensate”. Colui che ha radicalizzato la società israeliana e se ne è fatto radicalizzare, spostando Israele ancora più a destra, che ha – secondo la magistratura – usato metodi corruttivi e clientelari per garantirsi un potere semi-assoluto, che ha stretto alleanze strategiche con la destra mondiale, da Orban a Trump, che ha scatenato tre offensive militari contro la Striscia di Gaza (l’ultima lo scorso maggio) e cancellato ogni possibile eventualità di uno Stato palestinese su quel che resta della Palestina storica, ora non intende mollare.
Perché sa che spazio c’è per riproporsi come unico possibile leader di un paese alle quarte elezioni in due anni (al netto del processo per corruzione – ora non potrà farsi scudo con l’immunità da premier): ieri Bennett – che sarà premier in tandem con il giornalista Yair Lapid – ha ottenuto la fiducia con 60 voti a favore contro 59 contrari, una maggioranza minima che permetterà a ogni partito della larghissima coalizione di farlo traballare.
Due anni Bennett e due anni Lapid, questa è l’idea alla base dell’accordo anti-Netanyahu. Un programma vero e proprio non c’è, a cementare l’alleanza di otto partiti che va dai laburisti alla sinistra sionista di Meretz, dagli islamisti di Raam al falco laico Lieberman c’è solo il rifiuto a un nuovo mandato dell’odiato Bibi.
Nel discorso di ieri alla Knesset Bennett ha presentato il suo Israele, affatto diverso dal precedente: ampliamento della colonizzazione in Cisgiordania (“Per assicurare gli interessi nazionali israeliani), repressione contro i palestinesi (“Il terrorismo non è un fenomeno naturale o un destino a cui siamo tenuti a venire a patti, i palestinesi devono capire che la violenza troverà una ferma risposta”) e opposizione all’accordo sul nucleare iraniano.
Lo ha presentato tra le urla dei sostenitori di Netanyahu, i parlamentari dell’ultradestra e gli ultraortodossi, che gli hanno dato del “bugiardo”, mentre l’ex premier accusava il successore di essere esponente di “una destra finta che si farà governare da un pericoloso governo di sinistra”.
Di certo questo nuovo governo, innegabilmente di destra, non metterà in discussione i punti fermi dell’era Netanyahu, sia sul fronte socio-economico interno che su quello palestinese: Gerusalemme capitale indivisa di Israele, nessuno Stato palestinese né la fine dell’occupazione dei Territori palestinesi (e ovviamente del Golan siriano). Dalla sua Bennett ha un presidente americano, Biden, meno incline alla carta bianca totale come fu Trump per Bibi, ma cambia poco: l’attuale amministrazione non ha ancora mostrato alcuna intenzione di modificare il proprio approccio nella regione, eccezion fatta per la distensione con l’Iran e il dialogo in corso, quello sì un grattacapo per il tandem anti-Bibi. Nena News