Un nuovo rapporto della ong lancia l’allarme: “condizioni sempre più disperate in città”. 750.000 civili non possono ricevere aiuti umanitari. Il parlamento iracheno, intanto, vota una mozione (non vincolante) che vieta l’ingresso nel Paese agli statunitensi
della redazione
Roma, 31 gennaio 2017, Nena News – 350.000 bambini sono intrappolati nella città irachena di Mosul minacciati di essere uccisi dai jihadisti se la abbandonano. Ad affermarlo è un rapporto rilasciato ieri dall’ong internazionale Save the Children. Nello studio l’ong descrive la situazione in città come “sempre più disperata”: 750.000 civili non possono ricevere aiuti umanitari mentre cibo, acqua e provviste prodotti di prima necessità sono scarsi.
Emblematica, a riguardo, è la testimonianza che Mahmoud, un dottore che vive nella parte orientale dalla città riconquistata di recente dall’esercito iracheno: “Ho parlato con la mia famiglia. Non hanno niente da bere e da mangiare. I mercati sono vuoti e le provviste che avevano accumulato sono quasi finite”. Eppoi c’è la barbarie dello Stato Islamico: “C’è un alto rischio di [essere uccisi] se si fugge. Se l’Isis vede una famiglia scappare, la uccidono sul posto. Mi ero accordato con un contrabbandiere per tirare fuori la mia famiglia, ma lui ci ha rinunciato perché ha visto una famiglia di nove persone ammazzata di fronte ai suoi occhi” racconta il medico intervistato da Save the Children.
Venerdì scorso Inger Marie Vennize, la portavoce dell’agenzia Onu per il Programma alimentare mondiale (WFP), ha annunciato una riduzione forzata delle razioni di cibo destinate a 1,4 milioni di sfollati iracheni a causa dei ritardi dei pagamenti da parte degli stati donatori. Vennize ha riferito che il Wfp sta provando a risolvere il problema trattando con gli Usa (il principale donatore), la Germania, il Giappone e altri Paesi. Tuttavia, al momento non è possibile stabilire se e quando potrà essere ripristinata completamente l’assistenza alimentare (oggi è dimezzata).
La situazione per gli sfollati è drammatica: sono 160.000 le persone che sono riuscite a fuggire da Mosul da quando è iniziata (lo scorso ottobre) la campagna militare di “liberazione” dell’esercito. “Siamo scappati da Daesh [Stato Islamico] per poter sopravvivere e ora che siamo qui ci hanno tagliato gli aiuti. Come facciamo a vivere così?” ha detto a Save the Children la 39enne Safa Shaker.
Nello studio l’organizzazione non governativa esorta però anche l’esecutivo al-Abadi a prendere “ogni precauzione” possibile per evitare morti civili. Il direttore di Save the Children in Iraq, Maurizio Crivallero, è stato chiaro a riguardo: “L’impatto delle armi esplosive nella parte occidentale di Mosul potrebbe essere mortale e indiscriminato. Dobbiamo fare di tutto per proteggere i civili e le famiglie”. “Ad un bambino – ha spiegato – non importa da dove vengono le bombe, ma dove cadono”
L’allarme lanciato dalla ong è giunto più o meno nelle stesse ore in cui i parlamentari iracheni votavano a favore di una mozione (non vincolante) che vieta l’ingresso nel Paese degli americani. La proposta è una risposta al divieto anti-immigrati di 90 giorni per sei paesi a maggioranza musulmana (tra questi anche l’Iraq) deciso dal neo presidente Usa Donald Trump.
Il voto – definito una “raccomandazione” dal vice presidente del parlamento Sheik Humam Hamoudi – chiede al Congresso statunitense di “esercitare pressioni sull’amministrazione Trump in modo che venga rivista quella decisione relativa all’Iraq”. Sul provvedimento statunitense è intervenuto anche il ministro degli esteri iracheno che ha parlato di decisione “sbagliata contro un Paese che gli Usa considerano alleato e partner strategico”. La misura passata ieri, si legge in una parte del testo riportato dall’Associated Press, chiede l’implementazione di misure reciproche “nel caso in cui la parte statunitense non dovesse ritirare quell’ordine e riaffermare il prestigio e la dignità del popolo iracheno”.
Quello che vuole sembrare un atto di forza di Baghdad nei confronti degli alleati d’oltreoceano, evidenzia invece tutta la debolezza del governo al-Abadi. Nella sua battaglia contro l’Is, l’Iraq non solo ha avuto (e ha) bisogno dei raid della coalizione internazionale (senza dimenticare quelli iraniani), ma anche del sostegno finanziario Usa: a inizio mese Baghdad ha firmato un’intesa con Washington per un prestito di 1 miliardo di dollari. A prescindere di quanto possa fare Trump, pertanto, è difficile immaginare al momento una rottura dei rapporti tra i due Paesi. Inoltre, pur supponendo che il governo iracheno metterà in pratica quanto deciso ieri dal parlamento, sembra difficile che il provvedimento verrà rispettato nel territorio semi-autonomo del Kurdistan iracheno dove i legami con gli Usa sono solidi. Nena News