Gli Emirati arabi tornano a chiedere armi e addestramento ai clan della provincia di Anbar, cuore della lotta tra Baghdad e l’Isis. E nella capitale le bombe uccidono oltre 27 persone
della redazione
Roma, 7 febbraio 2015, Nena News - Tribù sunnite irachene armate e addestrate per combattere l’Isis a terra. Tornano a chiederlo a gran voce gli Emirati arabi, che lo scorso dicembre si sono ritirati dalla coalizione internazionale contro lo Stato islamico per ” la mancanza di sicurezza garantita ai piloti che sorvolano i territori conquistati dal Califfato” e tentano di colpire le loro postazioni.
A rivelarlo è stato ieri il quotidiano emiratino al-Ittihad, che ha spiegato il ritiro dalla coalizione di Dubai in funzione del pericolo che potevano correre i suoi militari bombardando l’Iraq e la Siria. Gli Emirati si sono chiamati fuori dalle missioni aeree contro il Califfato proprio pochi giorni dopo l’abbattimento del jet giordano e il sequestro del suo pilota Moaz al-Kasasbeh, bruciato vivo poco tempo dopo, la cui esecuzione è stata diffusa in un video martedì scorso.
Ma non è tutto: secondo il quotidiano emiratino la ragione principale del disimpegno di Dubai starebbe nel mancato supporto della coalizione internazionale alle tribù sunnite di Anbar, provincia irachena circondata e parzialmente occupata dall’Isis, alle quali erano state promesse armi, aiuto finanziario e addestramento in fase di formazione della coalizione. “Né gli attacchi aerei, né una guerra mediatica sono sufficienti per la sconfitta del Califfato” scrive il quotidiano citando fonti della sicurezza emiratine, che descrive come “insoddisfatte perché la coalizione ha dimenticato la gente di Anbar”.
Lo scorso novembre era trapelata la notizia che la Casa Bianca stesse valutando l’ipotesi di armare le tribù sunnite della regione di Anbar, cuore del conflitto tra Isis e Baghdad e che stesse considerando di inviare missili, granate e lanciarazzi per un valore di 24 milioni di dollari. Una strategia ufficialmente accantonata per timore di un risultato già tristemente noto in Libia: milizie senza controllo, armate fino ai denti, che combattono la loro guerra settaria e mettono in ginocchio un intero paese. E il rischio di una carneficina confessionale in Iraq, dove lo scontro tra sciiti – la maggioranza della popolazione irachena, repressa e assassinata per anni e ora a capo delle istituzioni – e sunniti ha già provocato migliaia di morti solo nel post Saddam, secondo gli analisti è decisamente più alto.
Proprio oggi due bombe esplose nella capitale irachena hanno causato almeno ventisette morti e oltre cinquanta feriti. Alcune agenzie parlano invece di oltre trentasette morti in tre attentati. Gli attacchi, i più sanguinosi degli ultimi mesi nella capitale, sono stati perpetrati nella parte orientale a maggioranza sciita e nel centro della città: l’esplosione di una bomba in un ristorante ha provocato almeno 22 vittime, mentre un ordigno esploso in un centro commerciale avrebbe ucciso altre 5 persone. Gli attacchi, che non sono ancora stati rivendicati, sono stati compiuti nel giorno in cui il governo aveva deciso di togliere il coprifuoco notturno, attivo ormai da oltre sette anni. Nena News