Raggiunta quota 4.600 marine. Il premier Al-Abadi chiede maggiori raid aerei, ma sul campo a frenare la controffensiva sono i settarismi religiosi.
dalla redazione
Roma, 10 dicembre 2014, Nena News – Il mantra del “niente stivali sul terreno” viene ripetuto in automatico dall’amministrazione Obama ma ormai è poco credibile: ai 3.100 consiglieri militari in Iraq se ne aggiungeranno altri 1.500, ha fatto sapere ieri l’esercito statunitense. Si arriva così a 4.600 marine, un numero troppo alto per poter ancora parlare di un non-intervento sul terreno.
L’amministrazione Obama sottolinea che i soldati continueranno a svolgere attività di addestramento e di definizione della strategia, ma non interverranno direttamente nei combattimenti. Si proseguirà invece con i raid aerei, che ad oggi hanno in alcuni casi frenato l’avanzata dello Stato Islamico ma non hanno permesso la ripresa dei territori occupati, compito lasciato a peshmerga e esercito iracheno.
Ma l’estrema debolezza delle truppe governative – affette da corruzione cronica, incapacità di affrontare i miliziani dell’Isis, settarismi interni, mancato sostegno da parte delle comunità sunnite – non aiuta Baghdad. Per questo il premier al-Abadi ha chiesto al segretario della Difesa uscente, Chuck Hagel, in visita in Iraq, di incrementare i bombardamenti e inviare più armi. Un richiesta che Hagel ha bypassato, ripentendo che all’esercito iracheno serve maggiore competenza e non altre armi. E soprattutto politiche più inclusive della comunità sunnita, emarginata dall’ex premier Maliki e ancora oggi sospettosa nei confronti del potere centrale.
Quello che è in atto è però un piano di più vasta scala, non limitato ai fragili e traballanti confini iracheni: la battaglia all’Isisè oggi diventata una guerra per procura tra asse sciita e asse sunnita ed è assai improbabile che nel prossimo futuro l’Iraq torni unito come ai tempi di Saddam. Tutti infilano le mani nella mappa mediorientale, pronti a ridisegnarne confini e aree di influenza.
L’Iran da parte sua, dopo i bombardamenti contro postazioni Isis a nord est dell’Iraq, intende incrementare il proprio ruolo militare: con il generale Suleimani, capo delle Guardie Rivoluzionarie, da tempo attivo in Iraq (foto lo mostrano durante azioni con milizie sciite), il Ministero degli Esteri ha fatto sapere ieri durante un incontro a Teheran con le controparti irachena e siriana di voler proseguire nella cooperazione e la coordinazione con le truppe irachene nella guerra all’Isis. Dietro, gli interessi strategici di Teheran che intende approfittare del caos generato da al-Baghdadi per rafforzare la propria influenza sul governo iracheno e i legami con l’alawita Assad a Damasco.
Sempre più coinvolta anche la Turchia, che ha l’obiettivo opposto: far cadere Assad e assumere il ruolo di guida di una vasta entità sunnita in Medio Oriente. Il coinvolgimento turco non si ferma alle richieste di no-fly zone e zone cuscinetto, né al sostegno ufficioso ai miliziani islamisti, ma va oltre: Ankara sta da tempo lavorando all’annichilimento della resistenza curda al di qua e al di là del confine e a misure politiche e militari volte a indebolire l’asse sciita.
Lunedì tre soldati turchi sono stati uccisi a Ceylanpinar, al confine con la Siria, da armi da fuoco, ma non è ancora chiaro se i colpi siano stati sparati in territorio turco o siriano. Ovvero se si tratti di un’azione curda o di fuoco sparato da miliziani islamisti e arrivato per caso oltre la frontiera. Nena News