Il premier al-Abadi ha annunciato stanotte l’inizio delle operazioni militari per riconquistare la “capitale” irachena dello Stato Islamico. Ma l’estremismo islamico non sta a guardare: autobomba a sud di Baghdad ha ucciso oggi almeno 9 persone. In Siria, intanto, si continua a morire ad Aleppo. Ma l’Unione Europea non pensa a nuove sanzioni contro Putin
di Roberto Prinzi
Roma, 17 ottobre 2016, Nena News – Ormai è ufficiale: la battaglia per riconquistare Mosul, la “capitale” irachena dello Stato Islamico (Is), è iniziata. Ad annunciarlo stanotte è stato il premier iracheno Haider al-Abadi in un discorso televisivo trasmesso dal canale Iraqiyya. “Il tempo della vittoria è arrivato – ha annunciato il primo ministro – le operazioni per liberare Mosul sono iniziate”. “Oggi – ha detto rivolgendosi ai due milioni di cittadini che risiedono nella metropoli irachena – dichiaro l’inizio di queste operazioni vittoriose che vi libereranno dal terrorismo di Daesh [acronimo arabo di Stato Islamico, ndr]. Se Dio vuole, vinceremo”. Al-Abadi, circondato durante il suo discorso da ufficiali militari di alto grado, non ha fornito però dettagli sull’operazione lanciata stanotte.
Che l’attacco alla seconda città irachena fosse ormai imminente era ormai cosa nota a tutti: la recente conquista della cittadina di Qayyarah (60 km a sud di Mosul) da parte delle truppe irachene aveva già rappresentato un chiaro indizio che l’assalto al fortino del “califfato” aveva ormai le ore contate.
Un attacco, quello iniziato all’alba, che si prevede lungo, difficile e sanguinoso. “Questa operazione – ha detto oggi il Tenente generale Stephen Townsend, comandante della coalizione a guida Usa che combatte l’Is – continuerà per settimane, se non di più. Sarà una battaglia lunga e difficile. Gli iracheni dovranno essere preparati a questo, noi però staremo al loro fianco”. E se circa 4.000 peshmerga curdi stanno avanzando a est di Mosul, le forze federali irachene si stanno spostando da sud e stanno ricevendo ampia copertura aerea da parte della coalizione internazionale.
Ma se gruppi diversi stanno partecipando alla riconquista della città, soltanto le truppe governative, ha tenuto a precisare il premier al-Abadi, entreranno in città. “La forza che guida le operazioni di liberazione è rappresentata dal coraggioso esercito iracheno e dalla polizia nazionale. Solo loro entreranno a Mosul, nessun altro” ha detto il primo ministro. A monte vi è la forte paura che la popolazione locale (a maggioranza sunnita) potrebbe nutrire un (giustificato) risentimento verso le milizie sciite note per massacri di sunniti nelle loro operazioni di “liberazione” delle aree occupate dall’Is. L’ordine sembrerebbe essere finora rispettato dai peshmerga che, tramite il colonello Amozhgar Taher, fanno sapere che non entreranno in città preferendo rimanere a 30 km a est della “capitale” irachena del “califfato”. Secondo l’agenzia di stampa filo-governativa turca Anadolu, le forze curde hanno liberato sette villaggi nella zona orientale della città e controllano ormai la strada che collega Mosul a Irbil, la città principale della regione autonoma curda in Iraq.
Tuttavia, non tutti sono disposti a rispettare l’annuncio di al-Abadi. Di diverso avviso è infatti, l’Hashd ash-Shabi, l’organizzazione militare formata da gruppi vicino a Teheran, che ha già fatto sapere che parteciperà attivamente ai combattimenti. Per non parlare della Turchia che ha nuovamente ripetuto oggi che non può essere esclusa né dalle operazioni in corso, né dai negoziati che seguiranno una volta che la città sarà liberata. “Perché non possiamo entrare a Mosul? – ha chiesto oggi retoricamente il presidente Erdogan – noi abbiamo 350 km di confine con l’Iraq. Altri [paesi] che non hanno nulla a che fare con la regione invece ci entrano. Noi saremo coinvolti sia durante l’operazione che dopo nei tavoli negoziali”.
L’inizio dell’attacco a Mosul – la più grande operazione militare dall’invasione statunitense del 2003 che ha deposto il presidente iracheno Saddam Hussein – è stata salutata con favore dall’inviato statunitense presso la coalizione anti-Is, Brett McGurk. In un tweet, McGurk ha augurato “buona fortuna alle eroiche forze irachene, ai peshmerga curdi e ai volontari di Ninewa”
Ma l’assalto a Mosul non ha fermato gli attacchi dei gruppi jihadisti: un’autobomba ha colpito stamane un checkpoint militare a 20 chilometri a sud di Baghdad uccidendo almeno 9 persone (ferite più di 35 persone). L’attentato non è stato ancora rivendicato da nessun gruppo, ma per modalità e obiettivi non è difficile ipotizzare che dietro ci sia la mano dello Stato Islamico.
I combattimenti continuano senza sosta anche in Siria. Ieri i ribelli siriani finanziati e armati dai turchi hanno catturato il villaggio di Dabiq liberandolo dal controllo dello Stato Islamico. Una vittoria militarmente irrilevante, ma simbolicamente di gran valore: Dabiq, infatti, era considerato dai jihadisti il luogo della battaglia apocalittica contro l’Occidente. Molto più importante è però quanto accade ad Aleppo. Secondo l’Osservatorio dei diritti umani – ong vicina all’opposizione al governo del presidente Bashar al-Asad – alcuni raid aerei (non è chiaro se russi o del governo siriano) hanno ucciso stamattina almeno 12 persone nella metropoli nel nord del Paese. Decine sarebbero i civili feriti o bloccati ancora sotto le macerie.
Le violenze compiute da Mosca e Damasco nella città siriana avevano destato ieri la rabbia di Stati Uniti e Gran Bretagna che avevano proposto agli alleati occidentali di imporre sanzioni economiche contro la Siria e la Russia. Una empatia per le popolazioni locali, quella di Washington e Londra, che sorprende: dove è la loro indignazione quando a mietere vittime (anche civili) sono i loro fidati ribelli siriani (“moderati”) o alleati come Bahrein e Arabia Saudita.
Alle proteste di inglesi e americani ha oggi risposto la responsabile della politica estera dell’Unione Europea, Federica Mogherini. La lady Pesc ha chiarito che Bruxelles non sta pensando di adottare alcuna sanzione contro Mosca per il suo ruolo svolto in Siria, ma ha definito “possibili” nuove misure contro Damasco. Alla base di questa riluttanza di punire Mosca, c’è la voglia di molti Paesi europei di non inimicarsi troppo Putin con cui i rapporti sono già molto tesi per le sanzioni adottate contro di lui per la crisi ucraina. Nena News
Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir